L’Italia NON è una democrazia “liberale”

Quanto spesso le istituzioni italiane sono state additate ad esempio per sostenere il fallimento del modello istituzionale indicato come “democrazia liberale”?  Nulla di più sbagliato. Vediamo.

Per essere definite “liberali” in senso classico, le istituzioni devono avere due prerogative (Hayek, “Il Liberalismo”):
– essere fondate su un elenco di diritti inalienabili dell’individuo;
– essere organizzate in modo che ogni potere politico sorvegli l’altro, al fine di evitare l’arbitrio politico.

Questi due concetti, espressi chiaramente dal padre del liberalismo classico John Locke nel II trattato sul governo, costituivano la base ideologica di duecento anni di partito whigh, e sono ripetuti diverse volte nella dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 fino alla sentenza dell’Art. 16:
“Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri stabilita, non ha una costituzione.”

Le istituzioni italiane non possono quindi essere considerate liberali per due motivi macroscopici:

1) I diritti individuali sono citati in Costituzione ma non per essere dichiarati inviolabili, bensì per sancirne l’assoggettamento al parlamento e ad un impreciso vantaggio comune;

2) I poteri politici non sono separati al fine di permettere la sorveglianza reciproca. Al contrario:
– l’esecutivo è partorito dal (ed soggetto al) parlamento. I suoi vertici sono tradizionalmente dei parlamentari.
–  I vertici di tutte le istituzioni, anche quelli della magistratura (CSM, Consiglio di Stato, Corte Costituzionale, Presidente della Repubblica) sono decisi e a volte spartiti tra le segreterie dei partiti. Come peraltro i candidati e gli eletti de potere legislativo, i quali poi eleggono l’esecutivo. Non a caso viene chiamata “partitocrazia”.
– Il potere giudiziario pretende l’indipendenza da qualunque sorveglianza, nonché l’immunità dei suoi giudici quantunque rei di soprusi evidenti nell’esercizio delle loro funzioni.

Inoltre, in dispregio dell’approccio contrattualista liberale classico secondo cui l’autorità pubblica è pagata dai cittadini al fine di essere difesi, spesa pubblica ed imposte non sono soggette a referendum popolare. Così come la Costituzione scrive chiaramente che “la proprietà privata è ammessa ai fini sociali”, anziché essere un diritto. La libertà privata non è difesa in alcun modo da quella forma di schiavismo (lavoro non pagato) che è la burocrazia. E l’iniziativa privata è ostacolata non solo dallo strapotere sindacale e da norme che impediscono la libera contrattazione del lavoro, e dalla difesa economica di imprese privilegiate a discrezione pubblica, ma direttamente in Costituzione viene concessa agli enti locali piena autonomia di finanziamento (anche mediante la partecipazione ad attività economiche). Ma l’articolo peggiore è probabilmente il 23, che permette ad ogni organo giuridico (dal parlamento al sindaco di un comune) di imporre a chiunque “prestazioni personali”. Viene da chiedersi se un sindaco possa legittimamente imporre lo “jus primae noctis”.

Un interessante saggio pubblicato sia su Von Mises Italia che su Diogene Magazine propone un indice per classificare il grado di “liberalismo” delle istituzioni politiche di ogni paese. Anche da qui risulta l’impossibilità di assimilare le istituzioni nazionali come ispirate al liberalismo.

Ma anche la stessa attribuzione di “democrazia” presta il fianco a critiche fondate, elaborate nell’articolo qui linkato.

 

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