Poteri politici: individuazione e separazione

Secondo la demagogia attuale, i poteri politici sono individuati in legislativo, esecutivo e giudiziario. Inoltre, sarebbero strutturalmente separati in modo da permetterne la completa autonomia, considerata tradizionalmente auspicabile.

Vediamo di capire gli errori macroscopici che la storia della filosofia politica individua in questa concezione, per noi così ovvia.

1) INDIVIDUAZIONE

Partendo da John Locke, il padre del liberalismo, questi analizzava le istituzioni Inglesi seicentesche e vi individuava e separava le seguenti funzioni, ovvero “poteri”:

– quelli delle camere di rappresentanza, che aveva in realtà due compiti: la sorveglianza nei confronti dell’esecutivo (anche mediante mezzi estremi come il bill of atteinder) e la sempre più precisa e perentori definizione i sui limiti giuridici, ovvero un potere legislativo (dalle varie modifiche alla magna charta, ai successivi bill of rights, agli habeas corpus) di tipo costituzionale (Hayek direbbe di tipo generale). Questo secondo compito lo indicava come legislativo, anche perché era costituito da Lord e rappresentanze comunali. Cioè coloro che, fuori dall’ambito delle camere, rappresentava e dettava la legge nei propri feudi o comuni.

– Quello del Re, che egli identifica come esecutivo, ma che in realtà era un esecutivo solo di tipo sovraordinato rispetto alle autorità locali. All’interno del potere esecutivo, il re manteneva invece in modalità autonoma il potere giudiziario.

– Il federativo, amministrato in modo condiviso tra camere e Re che diversamente da ciò che si potrebbe pensare, riguardava i rapporti della nazione con l’estero, il mantenimento dell’esercito e la guerra.

Se li contiamo, sono 5. Rimarcando però che la legislazione ordinaria era espressa dalla storia delle sentenze (common law), e quindi il giudiziario conteneva una parte di ciò che oggi chiamiamo legislativo.

Come noto, questi principi vennero ri-enunciati in modo differente da Montesquieu. I quali combinò i seguenti pasticci: individuò solo tre poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario), si scordò della sorveglianza, associò l’attività militare all’esecutivo, reinterpretò il legislativo eliminandone la componente più importante, ovvero la competenza costituzionale, addossandole invece tutta la legislazione ordinaria che la tradizione inglese (e già americana, prima del’indipendenza) fondava invece sulla storia delle sentenze (common law). E dichiarava il giudiziario un “potere nullo”, perché naturalmente forzato ad una mera applicazione delle leggi.

Non mi è chiaro perché il suo “Lo spirito delle leggi” ebbe tanto successo, anche perché tra inizio e fine si confonde e contraddice spesso. L’illuminismo francese andrebbe rivalutato, e forse escluso dalla classificazione. Ma tant’è che oggi è opinione comune che i poteri politici si identifichino esclusivamente in quei tre elencati ne “L’ésprit des lois”. Non vi sarebbe differenza tra l’origine della legislazione ordinaria e di quella generale, la common law scompare, il potere militare sparisce, il potere giudiziario non è degnoi di alcuna sorveglianza.  In ogni caso, neanche questo classico si identifica con la concezione attuale più frequente, di un esecutivo emanato e soggetto al legislativo omnicomprensivo (istituzione parlamentariste).

Ma la vera iattura tra le due concezioni, quella che fa veramente la differenza, è la scomparsa del potere di sorveglianza diretta dei cittadini sull’operato dell’amministrazione pubblica.

Il potere di sorveglianza è il simbolo dello scetticismo lockiano nei confronti del potere politico, ma anche dell’approccio contrattualista del potere politico: “Io cittadino pago la classe politica affinché mi difenda dalla prepotenza, ma al contempo non mi fido di lei e la sorveglio. E se scantona dal contratto, gliela faccio pagare”.

Il potere di sorveglianza è stato istituito per necessità in tutte quelle istituzioni che sono durate un po’ più delle altre. Possiamo citare i tribuni della plebe della Roma repubblicana, ma anche l’istituzione di un presidente della repubblica francese eletto direttamente dai cittadini che controlla la corte costituzionale e che rimanda ad essa ogni atto politico che ritenesse contraria al suo dettato.

Ricordo che tale istituzione fu imposta con un colpo di stato da un generale dell’esercito (De Gaulle) alla classe politica parlamentarista che stava mandando in sfascio il paese. Non si tratta quindi di un’istituzione che una qualunque classe politica accetti tanto supinamente. Sarebbe bene prevederla preventivamente. Ovviamente, le istituzioni italiane ne sono prive.

2) SEPARAZIONE

Per quanto concerne la separazione dei poteri, Locke riteneva molto importante che le funzioni delle camere e quelle del re fossero separate ed in contraddittorio, proprio per evitare l’arbitrio politico. In altre parole, i componenti delle camere, cui spettava la sorveglianza sull’attività del Re, non potevano far parte della sua corte. Così come i magistrati reali che giudicavano i cittadini accusati da lord e comuni non potevano essere in combutta con i membri delle camere dei lord e dei comuni.

Anche Montesquieu rimarcò la necessità di una separazione dei poteri, ma non ne associò la ragione alla necessità di sorveglianza reciproca, bensì ad una non chiarita necessità di completa autonomia. Specialmente il giudiziario, il “potere nullo”. Cosa che forse spiega un po’ di più perché le classi intellettuali della politica lo abbiano preferito. Teorizzò però un “potere di veto” del vertice dell’esecutivo (il Re) nei confronti delle emanazioni del parlamento che riguardassero le proprie funzioni.

In ogni caso, l’autonomia dei poteri intesa come possibilità di arbitrio è aberrata dal liberale classico (dal vero whigh), tanto quanto è osannata dai rappresentanti di ogni potere (spec. la magistratura italiana).

Il caso italiano è veramente esemplare come ribaltamento dei valori e degli obiettivi che la storia della filosofia politica ha indicato come auspicabili. Quivi, i partiti politici propongono ai cittadini ogni 5 anni i loro rappresentanti per il legislativo. A seguito del risultato, gli stessi legislatori compongono un esecutivo, sempre soggetto al legislativo. I partiti politici decidono poi, in funzione della loro influenza, il presidente della repubblica ed i vertici della magistratura e della corte costituzionale. La separazione, in conclusione, non c’è. La sorveglianza nemmeno.

Ricapitolando, la tradizione liberale classica stigmatizza la collusione tra i poteri, che ne comprometterebbe la funzione di sorveglianza reciproca. Esattamente il contrario della collusione a mezzo dei partiti che caratterizza ogni partitocrazia. Ed esattamente il contrario della concezione dell’arbitrio politico come valore da associarsi ad ogni potere.

Ragionando su questi aspetti, risulta una specie di collegamento tra parlamentarismo e partitocrazia. Nel senso che il primo, integrando legislativo ed esecutivo, favorisce lo strapotere delle uniche organizzazioni politiche.

Tornando alla separazione, è da rimarcare però che la collusione si identifica anche con la contiguità, sia essa parentale, associativa o semplicemente logistica.

Eempio. Se il PM compie (come succede) malefatte nei confronti di qualche cittadino innocente, ma vede tutti i giorni il giudice GIP o GUP della stanza di fianco con cui prende il caffè o va a giocare a tennis (come succede), chi ci rimette sarà il cittadino innocente (come succede spessissimo).

Un altro: se un giudice è associato ad un partito del potere legislativo, il quale partito lo può aiutare nella carriera (nei provvedimenti disciplinari o nelle elezioni al CSM o alla cassazione o alla corte costituzionale) la sua attività ne sarà influenzata. Anche in questo caso, ogni cittadino italiano è testimone del valore dell’esempio.

Ma allora, quale sarebbe l’alternativa? Come fanno in Svizzera, a Taiwan, o come facevano nella Roma Repubblicana? Semplice. Ogni potere ha modalità di formazione propria (vedere a questo proposito il post Poteri politici e forme elettive). Chi si candida per un potere, non deve avere o aver avuto parenti, neanche acquisiti, nell’altro. Né può passare da un potere all’altro. Le cariche sono a scadenza e molte di esse non sono immediatamente ripetibili.

Sul caso nostrano, il “più bello del mondo”, stendiamo il solito velo pietoso.

GC

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