SOLIDARIETÀ E GIUSNATURALISMO
Non è un problema etico, ma di modalità.
L’assistenza sociale non è un’invenzione dei paesi socialisti. Né delle idee collettiviste. Nel primo ottocento, si è sviluppata per prima nella capitalista Inghilterra [1], e ben prima della costituzione delle Trade Unions (sindacati inglesi).
In realtà, anche nel precedente periodo assolutista [2], ed anche in quello feudale, il sostegno dei meno abbienti, degli ammalati, di orfani e vedove era parte delle funzioni dell’esecutivo.
E se andiamo invece a scavare nelle radici giusnaturaliste del liberalismo, scopriamo che la solidarietà fa parte dell’etica umana naturale.
Il problema non è quindi la correttezza etica (che per i liberali classici è tutto) di ciò che viene chiamato assistenza sociale, bensì la sua modalità. Perché se anche la forma non replica l’etica naturale della solidarietà, se non viene riportato a diritto individuale anziché collettivo, allora non si può considerare giusta.
LA SOLIDARIETÀ NELLA “SOCIETA’ DEGLI AMICI”.
Per approfondire il discorso sull’etica naturale, è utile immedesimarsi nel caso in cui essa possa essere veramente considerata universale, ovvero sentita da chiunque. E qual è questo caso? È quello del gruppo di amici. Sembra banale, ma questo è il modo in cui descrivere una comunità elementare di persone che si comportano correttamente tra loro.
Non a caso, la Società degli amici è il nome che si dava la comunità dei Quacker, coloro che emigrarono dall’Inghilterra del ‘700 per colonizzare Pennsylvania e Delaware, e considerati da molti liberali classici i migliori epigoni del II trattato sul Governo di Locke.
Mettendosi quindi in questa ottica, e domandandosi cosa farebbe il gruppo di amici nel caso in cui uno di loro incorra in un imprevisto, in una difficoltà che richieda un impegno economico di cui l’amico non dispone, giungiamo ad una risposta immediata. Gli amici gli prestano la somma.
Ma quale sistema assistenziale nel mondo si basa oggi sul prestito? Nessuno! La tipologia che più si avvicina è il prestito d’onore che il governo federale USA concede ai fini di studio accademico ai propri cittadini [3].
Anche Milton Friedman, il più importante degli economisti liberali classici del XX secolo, teorizzò un sistema di questo tipo (sistema dei voucher ). Ma in cosa consiste esattamente?
Ora, senza addentrarci nei difetti intrinseci dell’esempio USA, pregiudicati dalla mancanza di sorveglianza e di limiti al potere di assegnazione (il secondo pilastro del liberalismo), limitiamoci a valutare il prestito di solidarietà sotto il profilo del giusnaturalismo.
COS’È IL PRESTTO D’ONORE
Prima di tutto, è un prestito che non finanzia direttamente il beneficiario, bensì il servizio da lui richiesto.
Inoltre, si differenzia dal prestito bancario perché, anche se parimenti soggetto ad interesse, non ha una scadenza fissa. L’obbligo alla restituzione inizia solo quando il reddito del beneficiario raggiunge il livello “imponibile”.
PRESTITO D’ONORE E SISTEMA TRIBUTARIO
Ovvio perciò che in un sistema tributario come quello italiano, in cui l’imponibile è pari al reddito, il “prestito d’onore” potrebbe pregiudicare il diritto naturale di diritto alla vita ed alla salute, quindi non essere coerente col liberalismo.
Il prestito d’onore presuppone che, una volta aiutata, una persona ritorni attiva nella società, ma in un tempo non determinabile. Non avrebbe quindi senso in un sistema tributario come quello italiano, in cui i redditi sono imponibili a partire dal livello zero. Il prestito d’onore USA incide normalmente nel 5% del reddito imponibile, laddove per imponibile si intende quella quota di reddito da cui è stata escluso tutto ciò che serve alla sopravvivenza ed alla salute. Ovvero, è “in più”, rispetto a ciò che l’autorità pubblica dovrebbe salvaguardare (anziché compromettere, come nei sistemi fiscali basati sulla “detrazione” anziché sulla “deduzione”). Anche in Svizzera il sistema delle deduzioni, forfettizzate in base ai componenti del nucleo familiare, è simile.
VANTAGGI DEI SISTEMI ASSISTENZIALI BASATI SUL PRESTITO.
I vantaggi sarebbero i seguenti:
– l’Autorità Pubblica farebbe il suo mestiere, e non “il dottore” o “il professore” o “il costruttore” o “il locatore”.
– Il suo mestiere è proprio quello di sorvegliare “il dottore” o “il professore” o il “costruttore”. Cosa non attuabile se sorvegliante e sorvegliato coincidono.
– Chiunque avrebbe diritto all’assistenza sociale, ma sarebbe conveniente solo per chi non può permettersi pagamenti diretti. Inoltre, il sistema di credito (per mutui, prestiti etc.) premierebbe automaticamente l’assenza di debiti anche pubblici.
– La restituzione del prestito non sarebbe scontata, anche se accompagnerebbe il beneficiario fino alla sua eredità (che resterebbe dunque ipotecata). Ma è indubbio che sarebbe sempre meglio di adesso, cioè delle elargizioni a fondo perduto. Peraltro, con criteri di assegnazione arbitrari, fonti di privilegio o ingiustizia.
– I settori che ora sono monopolio pubblico (sanità, istruzione) e comunque da questi influenzati (università, edilizia) ritroverebbero l’efficienza e la qualità del libero mercato, con la garanzia di una sorveglianza pubblica ora non più compromessa.
– La dimensione dell’apparato pubblico, non più gravato da carichi atipici ed estesi, diminuirebbe moltissimo, guadagnandoci in efficienza e coerenza.
ESEMPI NEL MONDO
L’unico esempio nel mondo di sistema assistenzale assimiabile al modello suddescritto è costituito da quello svizzero, descritto qui.
Altri esempi di prestiti d’onore esistono nel mondo solo in relazione alle rette universitarie. Sia in sistemi tributari basati sulle deduzioni (ad esempio USA), che sulle detrazioni (ad esempio Italia).
Ambedue i casi evidenziano problemi. Nel primo caso (USA), perché il prestito d’onore viene concesso senza limiti (di retta), ripetutamente (per più corsi di studi), non solo per le rette universitarie (ma anche per il mantenimento durante gli studi) e senza obbligo di risultati. L’autorità federale rinuncia perciò a fare il suo mestiere, cioè a sorvegliare. L’effetto è che il prestito d’onore per studi universitari è diventato una gravissima fonte di parassitismo, nonché di aumento delle rette universitarie.
L’esempio in paesi basati sulla detrazione, al contrario, non tutela l’assegnatario del prestito, in quanto questo è affidato alle banche, le quali cominciano a prelevare a partire da una certa data fissa, indipendentemente dal reddito del malcapitato (visto poi che il concetto di “imponibile” è corrotto dall’assenza di deduzioni), ed applicando tutti gli interessi di mora ad libitum. Non è quindi “solidarietà sociale”, bensì un’attività bancaria “forzata”. E nel caso italiano è anche discriminatorio permettendo l’accesso ai soli diplomati con 75/100, in un paese in cui un voto 6 al nord equivale ad un 10 al sud.
CONCLUSIONE
La solidarietà sociale, per essere etica, deve replicare l’etica individuale, basandosi quindi sul prestito ai fini specifici e non sulla regalia discrezionale. Ciò è però possibile solo in sistemi in cui anche il sistema tributario (calcolo dell’imponibile) è parimenti etico [4] .
———————————————-
[1] Examples:
– Workhouse Test Act through parliament in 1723, “Gilbert’s Act (1782)”;
– the Speenhamland system;
– the Removal Act in 1795, 1817 also saw the passing of the Poor Employment Act, “to authorise the issue of Exchequer Bills and the Advance of Money out of the Consolidated Fund, to a limited Amount, for the carrying on of Public Works and Fisheries in the United Kingdom and Employment of the Poor in Great Britain”;
– By 1820, before the passing of the Poor Law Amendment Act workhouses were already being built to reduce the spiraling cost of poor relief;
– 1832 Royal Commission into the Operation of the Poor Laws etc. ect., by Nassau William Senior
…. and others
[3] Peccato che, anche in questo caso, sussista un problema di modalità. La completa assenza di sorveglianza di un siffatto potere di erogazione non può essere compatibile con le fondamenta scettiche del liberalismo. E del buonsenso, probabilmente.
[4] Vedere il post sui tributi o quello sull’imponibile in questa stessa rubrica.