La proprietà pubblica

Esistono beni che servono a tutti gli individui di una comunità, e che per questo vanno gestiti da una autorità indipendente ed imparziale. Un esempio citato dal filosofo del diritto Carlo Lottieri in una sua una recente pubblicazione, è quello dei pascoli, ed in particolare di quelli Svizzeri. I quali, secondo il l’autore, sarebbero all’origine sia della democrazia diretta elvetica che del suo federalismo. Altri esempi comuni sono le fognature, le strade, gli impianti comuni, gli edifici di utilità pubblica, le opere per la difesa nazionale, monumenti, musei, laghi e corsi d’acqua, la battigia etc.

Le due concezioni opposte

Esistono due modalità di intendere la proprietà pubblica. Si può intendere come “proprietà condivisa“, oppure come “proprietà demaniale“. La prima è congruente con il liberalismo. La seconda è quella delle istituzioni italiane.

La prima vede come proprietaria esclusiva una comunità di individui, che ne affida eventualmente la gestione, in modalità sorvegliata, ad un amministratore pubblico.

La seconda vede come proprietario l’amministratore pubblico, in modalità assoluta ed inalienabile, che la amministra (se ne ha voglia) in modalità arbitraria e per scopi indefiniti.

La proprietà condivisa

La definizione di proprietà condivisa impone l’identificazione di:
. la comunità degli individui che ne beneficiano;
. lo scopo dell’attività amministrativa;
. l’amministratore indipendente delegato dalla comunità per lo scopo suddetto
. i mezzi istituzionali per la sorveglianza dell’attività dell’amministratore e per la sua sostituzione da parte della citata comunità.

In particolare:

– la comunità può essere di ogni dimensione, anche inferiore all’unità amministrativa comunale. Un esempio è costituito dai pascoli succitati, o da attrezzature locali per attività di pesca, o immobili di interesse per un quartiere cittadino. In ogni caso, ai fini della migliore amministrazione, va chiarita l’esclusione da tale comunità di chi non ha interesse alla sua migliore gestione.

– lo scopo dell’attività amministrativa. Tale scopo è importante perché ne chiarisce anche l’alienabilità. Ecco quindi le tipologie di proprietà condivise:
1: necessarie, non alienabili [1].
2: di interesse esclusivo, alienabili in concessione [2]
3: di interesse generico, alienabili anche in vendita, ma vincolata ad utilizzo pubblico [3].
4: accidentali, il cui scopo unico è essere vendute [4].
Più avanti  vengono approfondite le ragioni dell’inopportunità del “lucro” tra gli scopi della gestione della proprietà condivisa.

L’amministratore pubblico di un bene condiviso andrebbe identificato personalmente, ai fini dell’individuazione della relativa responsabilità.

. I mezzi istituzionali per la sorveglianza dell’attività gestionale saranno tanto più diretti tanto più la comunità ristretta, e tanto più delegati al contrario. Ma devono sempre prevedere la trasparenza ed accessibilità delle vicende amministrative nonché la possibilità (anche delegata) della comunità ai fini della rimozione e sostituzione dell’amministratore.

La proprietà demaniale

Le categorie del demanio sono invece solo due:
– il demanio necessario. In Italia, è così definito dal Codice Civile art. 822 e seguenti, è costituito dai seguenti beni: il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia (c.c. 2774, Cod. Nav. 28, 29, 692); le opere destinate alla difesa nazionale.
– il demanio accidentale. Così viene definito anche tutto il resto delle proprietà pubbliche (strade, fogne, impianti, musei pubblici, archivi, monumenti etc) oltre a qualunque proprietà immobiliare dello stato di qualunque origine, anche privo di interesse condiviso.

Quest’ultima tipologia costituisce un vero problema, in quanto in Italia anche il demanio accidentale è inalienabile [5], salvo lunghe e complesse procedure di sdemaniamento, che non sempre vanno a buon fine. Per questo, tantissime proprietà immobiliari e mobiliari pubbliche (si pensi agli archivi documentali ed artistici, oltre ad una grande quantità di immobili) finiscono in malora.

In realtà, si potrebbe, in alcuni casi, alienare in concessione temporanea. Ma la fatica ed il rischio connesso a tale pratica inducono qualunque funzionario pubblico a non occuparsene né caricarsi di inutili rischi ed oneri. A meno ovviamente di corruzione del funzionario (che pensare, ad esempio, di questo caso qui?). Qualcosa è stato mosso per merito degli incentivi ai dirigenti pubblici, ma poca roba.

La gestione è insomma affidata alla “Agenzia del demanio”, priva di mandato preciso. Mota quietare, quieta non movere… tota corruere.

Proprietà pubbliche e scopo di lucro

Il liberalismo esclude che l’autorità pubblica possa gestire attività ai fini di proprio vantaggio economico, cioè oltre l’autofinanziamento. Il finanziamento dell’autorità pubblica sono le tasse, i biglietti, le tariffe e le imposte sui redditi imponibili. Bastevoli alla sola copertura dei costi. Perché? Per i seguenti motivi:

– Il compito di un’autorità pubblica è tutelare i diritti del cittadino, non lucrarci sopra.

– La tutela, anzi, va esercitata anche nei confronti dei beni e dei servizi del mercato, e questo compito di sorveglianza è incompatibile con un ruolo diretto di produttrice di beni o servizi. Perché nessuno può sorvegliare sé stesso [6].

– Un’attività economica turberebbe un mercato concorrenziale privato, disponendo di più fondi, non potendo fallire, e potendo fissare regole a proprio vantaggio, che costituirebbero un ostacolo all’entrata. E turbando il mercato, lo danneggerebbe ed ostacolerebbe la libertà di impresa.

– Riuscire a sorvegliare ed impedire la corruzione del mondo politico che i flussi economici creerebbero è compito pressocché impossibile.

– La nomina politica del management è usualmente garanzia di incompetenza [7].

– Le attività pubbliche non possono fallire. Il fallimento invece è il fenomeno che permette il miglioramento del mercato di un qualunque bene o servizio.

Per precisione, esiste una sola proprietà pubblica a scopo di lucro: quella che non è di interesse pubblico, ovvero la proprietà condivisa “accidentale” destinata alla vendita, descritta sopra. È ovvio che va venduta al miglior offerente e basta. Ma non è una reale eccezione alla regola: semplicemente, non è di interesse pubblico ([8]).


Note a pié di pagina

[1] Esempio: strutture ed armamenti per la difesa nazionale. i fiumi, i torrenti, i laghi.
Magazzini di opere artistiche e documentali prima dell’esecuzione di una archiviazione, con lo scopo di trasformarli in archivi (alienabili in concessione).

[2] Esempi: Immobili di interesse artistico, e quindi sia turistico che di godibilità individuale per i residenti, per una comunità locale. Ecco che l’alienabilità non potrà andare oltre alla concessione, includendovi però la godibilità gratuita per i residenti, nonché la manutenzione necessaria al fine di conservazione.

I cimiteri sono un esempio analogo, vista la suggestività ed importanza artistica che vi è così spesso associabile.

Una spiaggia è un esempio leggermente differente, perché la accessibilità andrebbe estesa a chiunque anche se lo scopo della gestione sarebbe egualmente la manutenzione e la fornitura di servizi che si auto ripagherebbero.

Archivi artistici e documentali, con lo scopo di trasformazione in musei.

Autostrade, linee ferroviarie, fogne ed impianti, con lo scopo del mantenimento in efficienza e sicurezza e della minimizzazione delle tariffe per il pubblico attraverso la concorrenza territoriale tra molti differenti operatori.

[3] Esempi: immobili ed opere fatiscenti richiedenti interventi di riparazione che la comunità non si può permettere, e che vengono ceduti a privati in cambio del loro restauro e mantenimento in cambio di accesso pubblico, eventualmente parziale.

Immobili già privati ma di interesse artistico e quindi turistico, su cui il pubblico investe per il restauro in cambio di accesso pubblico, eventualmente parziale.

[4] Immobili senza alcuno scopo comunitario, in dotazione pubblica per sequestro, eredità mancata o dismissione di precedenti attività pubbliche.

[5] In realtà, può, in alcuni casi, essere ceduto in concessione temporanea. Ma la fatica ed il rischio connesso a tale pratica impedisce a qualunque funzionario pubblico di occuparsene e di caricarsi dei relativi oneri.

[6] Un esempio immediato è fornito dalle famose “multiutilities”, cioè quelle società di proprietà pubblica che si occupano di servizi locali quali gestione dell’energia elettrica, dei rifiuti, degli scarichi etc. Hanno in genere più dirigenti (a nomina politica) della FIAT, hanno utili ben superiori al gettito fiscale che comunque impongono, , impongono leggi od ordinanze tipo quelle sui rifiuti differenziati per cui il cittadino lavora gratuitamente per aumentare tali utili, sono onnipotenti ed incontestabili ed il cittadino è privo di tutela.

[7] La dirigenza a nomina politica ha storicamente dimostrato di mandare in rovina qualunque attività di questo tipo. Le ragioni sono tante, dall’incompetenza al disinteresse naturale a gestire i soldi degli altri.

[8] Un esempio di questo tipo che mi sono dimenticato sono le banche. Fino al 1992 le banche italiane erano tutte di proprietà pubblica. L’Europa impose la privatizzazione. Amato non le vendette. Le cedette gratuitamente a nuovi enti creati appositamente: le “fondazioni bancarie”, di diritto privato ma a nomina pubblica. Con l’obbligo societario di vendere la proprietà delle banche. In questo modo, lo Stato non ci guadagnò un Euro. Ci guadagnò invece la classe politica ed i partiti. Enormemente. Uno scandalo di cui non si parla mai…

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