Le argomentazioni più comuni contro l’approccio giusnaturalista al Diritto sono le seguenti:
1) L’opinabilità della attribuzione dell’etichetta di naturale ad una norma piuttosto che ad un’altra.
2) L’esistenza di comportamenti non morali dimostrerebbe che non esiste un’etica naturale, bensì solo culturale.
3) Assenza di dimostrazione della correlazione tra naturale e giusto.
4) Vaghezza della definizione del limite del diritto individuale.
LE CONTRODEDUZIONI
1) Il giusnaturalismo non si occupa di norme, bensì di diritti. Intesi come pretese individuali ad essere rispettati dagli altri membri della propria comunità. Le norme sono regole di varia tipologia il cui requisito più importante, per il giusnaturalismo, è semplicemente di non violare i citati diritti.
2a) Detto questo, il giusnaturalismo parte dal presupposto che tale pretesa sia naturale, ovvero sia istintivo per ogni individuo di una comunità rispettare gli altri membri di questa. La critica secondo cui vi sono esempi di comportamenti immorali è inutile. Il comportamento riguarda l’etica, non la morale. La stessa osservazione dell’esistenza di comportamenti immorali presuppone l’esistenza di una morale.
2b) In realtà, la questione se la morale del rispetto sia naturale o culturale è poco importante, in quanto, nel giusnaturalismo, fa parte semplicemente della definizione di comunità. E’ una comunità quella in cui ogni membro è tenuto a rispettare il prossimo.
Detto questo, è comunque difficile dimostrare il contrario, ovvero che in una comunità spontanea ed elementare, come quella del gruppo di amici, i membri non sentano istintivamente quale possa essere il comportamento considerato corretto o non corretto nei confronti di un altro membro, e che la correttezza (giustizia) sia differente dal rispetto reciproco. Il gruppo di amici non è un esempio a caso. È proprio quello della comunità che fece degli ideali giusnaturalisti di Locke la propria filosofia, ovvero i quacker di William Penn, tanto citati nel dibattito liberalista.
È invece dimostrabile che è proprio il plagio culturale che può alterare questo sentire naturale.
2c) Tra gli esempi che vengono citati a dimostrare che l’etica del rispetto non sia naturale sono citati il bullismo a scuola e la criminalità organizzata. In realtà, questi esempi dimostrano proprio come il rispetto reciproco sia massimo all’interno di queste micro organizzazioni. Il bullo, come il mafioso, è tipicamente il membro di un gruppo di compagni all’interno della quale vige il massimo rispetto reciproco. È il sentirsi estranei e differenti agli altri membri della società che gli permette di prescindere dal sentimento morale nei loro confronti.
3) Non è necessario dimostrare che la morale naturale del rispetto reciproco sia giusta o meno. È semplicemente una definizione. Quindi non va dimostrata. È giusto perché è la definizione giusnaturalista di giusto.
4) La quarta critica è sempre stata la più sentita dai filosofi liberali, che si sono sperticati a vicenda per dare la miglior definizione al limite della libertà individuale. La cosiddetta definizione di uguale libertà degli individui è oggetto di successive rivisitazioni, da Locke [1] a Kant [2] , per confluire nel secolo successivo in quella di Spencer[3]. Secondo me, una vale l’altra, sono tutte sufficientemente chiare ed efficaci.
LE ALTERNATIVE
Detto questo, al giusnaturalismo sono contrapposte due filosofie del diritto antagoniste. Una è l’utilitarismo, l’altra il giuspositivismo. La prima si propone di ricercare nel diritto l’utilità sociale, l’altra l’efficacia.
La cosa curiosa è che ad ambedue manca una ragione di esistere. Cosa sarebbe l’utilità sociale? L’aumento demografico? Siamo forse dei polli? O dovremmo magari anche esser più grassi? Cos’è l’utilità se prescinde dalla libertà esistenziale degli individui?
Idem per il giuspositivismo. Efficace, a quale fine? A mantenere l’ordine? Cosa dovremmo essere, una società di soldati o di automi?
Ambedue le teorie mancano di una ragione di esistere, un obiettivo ed un perché. Scindere il diritto dalla morale, separare i due significati di right (Diritto e giusto), teorizzare la correttezza di una norma sentita naturalemnte come ingiusta è un concetto che non ha bisogno di critiche esplicite per coglierne la contraddizione.
Ed altrettanto contraddittoria appare la critica, relativa ad una supposta difficoltà a definire cioè che è giusto, da parte di chi neanche ritiene importante questo concetto.
– NOTE –
[1] “Gli uomini sono uguali per natura” nel senso che le diseguaglianze “si accordano con l’eguaglianza di tutti di fronte alla giurisdizione”, “essendo quell’eguale diritto che ogni uomo ha di non essere soggetto alla volontà o all’autorità di un altro”.
[2] Per il Kant giusnaturalista (“L’uomo obbedisce ad una legge che egli stesso liberamente si è dato”, con diritto, libertà ed etica definite contemporaneamente nella nota frase “Devo, dunque posso”), il diritto deve interpretare l’imperativo categorico dell’etica: “Agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere nello stesso tempo come principio di legislazione universale”(Metaphysics of Morals). Ma anche: “ognuno può ricercare la sua felicità per la via che a lui sembra buona, purché non rechi pregiudizio alla libertà degli altri di tendere allo stesso scopo, in guisa che la sua libertà possa coesistere con la libertà di ogni altro secondo una possibile legge universale (cioè non leda questo diritto degli altri). ( cit. da “Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto). O anche: Il diritto è […] l’insieme delle condizioni per mezzo delle quali l’arbitrio dell’uno può accordarsi con l’arbitrio di un altro secondo una legge universale della libertà (cit. da “Stato di diritto e società civile”).
[3] Legge di eguale libertà di Spencer: “ogni uomo è libero di fare ciò che vuole, purché non violi l’eguale libertà di ogni altro uomo”