La libertà di impresa è semplicemente un’espressione del secondo diritto fondamentale di Locke, ovvero la libertà personale. Possiamo disquisire se il terzo diritto fondamentale, ovvero quello alla proprietà privata, sia il suo presupposto oppure il suo fine. Ma in fondo la questione è oziosa. Meglio concentrare l’attenzione su quell’espressione economica a cui che la libertà di impresa sembra naturalmente condurre: il capitalismo.
1 Introduzione: definizione di capitalismo
Libertà di impresa e libertà di lavoro non sono tanto distanti. La differenza è sostanzialmente che l’impresa è una persona giuridica, mentre il lavoro è attribuito all’attività di una persona fisica.
Le persone giuridiche sono le società, che per definizione sono costituite da più persone, il cui ruolo è organizzato, ovvero specializzato.
La specializzazione, secondo la geniale intuizione del padre dell’economia politica, A. Smith ([1]), era la mano invisibile, la chiave dell’efficienza, la base del successo economico. In sintesi, il segreto della ricchezza delle nazioni.
Purtroppo, l’organizzazione di un sistema specializzato prende tempo e denaro. Se ci si affanna da mane a sera per sopravvivere, si possono avere anche le idee più innovative e brillanti del mondo, ma non si ha né il tempo né il denaro per realizzarle.
Quantificando anche il tempo in denaro, possiamo utilizzare un’unica parola per definirne le risorse necessarie per iniziare un’impresa: il capitale.
E possiamo identificare con una sola parola anche la specializzazione del lavoro costituita da risorse umane e macchine: mezzi di produzione.
In sintesi, l’investimento di un capitale in mezzi di produzione, con l’intento di accumulare dopo un certo periodo di tempo più denaro del capitale iniziale, è una forma di investimento chiamata capitalismo.
Siamo quindi giunti in modo semplice a quella definizione per cui nelle enciclopedie si spendono migliaia di parole, su cui la letteratura politica ed economica ha prodotto migliaia di libri inutilmente. La definizione di capitalismo.
Ripeto questa definizione, cercata per secoli e per motivi misteriosi mai trovata: il capitalismo è una forma di investimento. In particolare, è un investimento ([2]) in mezzi di produzione.
Va da sé che la libertà di impresa è legata in modo sostanziale alla disponibilità di un capitale iniziale.
Ma in un mercato, qual è quel servizio che mette a disposizione dei capitali per le imprese? Il sistema di credito. In altre parole: le banche.
2 Introduzione: le banche
Risulta così identificata la prima importante funzione delle banche: prestare capitali alle imprese.
Ne esiste però un’altra: il deposito. Una funzione ben diversa!
Il problema è che non sono solamente due funzioni diverse, ma che per certi aspetti sono antitetiche.
Il depositante nel contro corrente richiede la sicurezza che la banca di deposito non utilizzi il proprio capitale per i fatti suoi. L’investitore, al contrario, ricerca alti interessi, consapevole che la banca d’investimento presterà il suo denaro ad alti interessi.
Per via del diverso obiettivo, e conseguente modalità di funzionamento, a seguito della “grande depressione” e dei fallimenti bancari collegati, il congresso USA approvò (1933) il Glass-Steagall act, che separava le banche da investimento da quelle da conto corrente.
In questo modo, chi voleva solo un conto corrente non era esposto ai rischi di chi voleva far fruttare il proprio denaro ad interesse. In pratica, i conti correnti (checking accounts) costavano qualcosa ([3]), mentre i risparmi investiti in “saving accounts” fruttavano. ([4]) ([5]).
La gestione Clinton, nel 1999, cancellò questa legge ([6]), che metteva i depositi non speculativi al riparo dai rischi. Precedentemente, Clinton aveva avviato, attraverso le agenzie federali Fanny Mae e Freddie Mac, una politica di garanzia dei mutui sulle case anche ai subprime, ovvero a quei cittadini che non fornivano garanzie di poter restituire i prestiti (o meglio: la certezza di non restituirli mai più).
Tale politica demenziale non fu modificata dalla gestione Bush, e portò nel 2008 a quel disastro finanziario a tutti noi noto come la crisi dei subprime, a cui conseguirono anche grandi fallimenti bancari ([7]). La riunificazione tra banche di deposito e banche di investimento comportò quindi perdite di depositi e capitali ([8]).
In Italia, differenziazioni obbligatorie tra banche di deposito e di investimento non ci sono mai state. Al contrario, il fascismo le nazionalizzò quasi tutte. La comunità europea ci impose negli anni ’90 di privatizzarle, così il presidente del consiglio Amato si inventò quell’obbrobrio guridico chiamato fondazioni bancarie.
In pratica, le banche non vennero vendute. Assunsero, gratis, una forma giuridica di diritto privato (SPA), ma erano controllate da un ente (non a scopo di lucro. Sic!) a controllo pubblico (cioè dai partiti locali). Un trucchetto all’italiana. A spese dei cittadini ed a vantaggio dei partiti. Enormi istituti finanziari diretti da chi? Da amichetti di partito. Con che obiettivi? Mah, chissà. Comunque, “non a scopo di lucro”. A parte quello degli amichetti e dei partiti.
Risultato? Ecco in scena il disastro Montepaschi (che squadroni di basket però!). E molti altri spettacoli a venire.
3 Introduzione: il sistema di credito ed il debito pubblico
Storicamente nei secoli, il rapporto tra debito pubblico e banche è sempre stato perverso.
Sovente, i sovrani si vendevano anche l’anima ai banchieri, salvo poi salvarsi massacrandoli fisicamente ([9]). Altre volte, semplicemente non restituivano i prestiti, causando clamorosi fallimenti ([10]). Ci fu anche chi occupò il paese estero delle banche prestatrici e le nazionalizzò o ne requisì le riserve ([11]).
Anche oggi, la politica dei paesi in cui la spesa pubblica non è soggetta a rigorose limitazioni ed il deficit di bilancio vietato (come invece è in Svizzera), i debiti pubblici sono volati alle stelle. Chi li finanzia? Le banche. Le quali hanno acquistato un potere, specialmente nella comunità europea, che non avevano mai avuto prima.
Praticamente, la situazione è caratterizzata dalle seguenti anomalie:
– le banche hanno perso il valore dell’investimento capitalistico. Non cercano più l’impresa in crescita, il prodotto od il mercato nuovo, bensì solo il questuante con le garanzie patrimoniali migliori. Il piccolo imprenditore, le “start up”, etc. fanno da soli, o si rivolgono altrove. Dagli strozzini alla Comunità Europea. Che tenta di sostituire quella che doveva essere la funzione e la specialità di un sistema di credito che ormai si è perso, drogato dai vantaggi dei bassi rischi del finanziamento pubblico (un tempo anche remunerativo, ora non più).
– le banche non possono più fallire. La creazione di istituti e fondi europei ad hoc ne è lo strumento. La vicenda delle banche greche o quella della Monte dei Paschi ne sono la prova.
– le banche Italiane: data la 90ennale proprietà/dirigenza pubblica, sono il suo specchio: inefficienza, burocrazia, favoritismo politico, parassitismo e privilegio contrattuale tipici dell’amministrazione pubblica.
4 Come resuscitare la funzione creditizia delle banche
Le banche non prestano più denaro alle imprese perché impegnate a farlo agli Stati.
La soluzione sembrerebbe ovvia: vietare alla banche di prestare denaro agli Stati.
Ma un pensatore giusnaturalista opporrebbe immediatamente due rilievi a questa soluzione.
Il primo è istintivo: vietare un’attività economica, senza che questa leda alcun diritto individuale, è antitetico allo spirito di questa stessa trattazione.
Il secondo è analitico: la rinuncia del sistema creditizio al capitalismo è un sintomo, non una causa del male dell’economia.
Il male è che le attività imprenditoriali sono troppo ostacolate dal sistema giuridico, burocratico e fiscale per essere redditizie. Per questo, il loro grado di rischio è straordinariamente troppo alto.
Al contrario, in una società sana è il debito pubblico che dovrebbe essere poco redditizio, e quindi poco attraente per investitori puri come le banche. E perciò, naturalmente riservato al risparmio individuale, o di quelle attività tese solo al mantenimento sicuro del valore del capitale, come dovrebbero essere quelle previdenziali.
Perciò, la soluzione è sempre la stessa: liberare le attività economiche. Tutto il resto seguirà.
5 Il fallimento bancario
Un altro grande mito da sfatare è quello sui fallimenti bancari. Non ha senso pensare che le banche non debbano fallire. Le banche, se mal gestite, devono fallire.
Oddìo!!!… e i correntisti delle banche? E i risparmi della gente?
Chiariamo una cosa: se la liquidità prodotta dai conti correnti sparisce di colpo, ne consegue un immediato effetto deflattivo. Ma non è compito della banca centrale mantenere costante il valore della moneta? E’ per questo che, a seguito di fallimento di una banca di deposito, la banca centrale dovrebbe fare (oggi non lo fa) ciò per cui esiste: aprire immediatamente altrettanti conti correnti quanti quelli cancellati dal fallimento, per evitare qualunque effetto sul valore della moneta (oltreché il cosiddetto “panico” e “corsa agli sportelli”, nonché effetti sui consumi e sull’economia collegata). ([12])
Tale manovra non avrebbe alcun “effetto inflattivo”, in quanto si sa che la dimensione dei conti correnti tende ad essere mediamente costante, ed ha effetti puramente psicologici.
In altre parole: la sua sparizione in massa ha effetto deflattivo (è provato). Ma la sua permanenza come prima non ha semplicemente nessun effetto (è ovvio). ([13])
Fallimento bancario? Fine del problema. E fine dei privilegi del mondo bancario.
E’ necessario scriverlo in Costituzione? Come al solito, sarebbe bene esprimere quivi almeno gli indirizzi generali e gli obiettivi. Sia come corollario alla libertà di impresa (Elenco dei Diritti), che nella descrizione dei compiti della banca centrale (Separazione dei Poteri).
6 La responsabilità della dirigenza bancaria
Vi sono banche ben gestite ed altre che falliscono. Perciò non si può considerare il fallimento di una banca immune da responsabilità dirigenziali. Assistiamo invece al contrario: grandi prebende assegnate ai direttori generali fallimentari per il loro allontanamento. E’ ora di riportare un po’ di razionalità in questo campo, con la seguente prescrizione:
Il fallimento bancario deve prevedere sempre la responsabilità civile diretta della dirigenza bancaria. La magistratura specializzata in diritto bancario, con l’assistenza della guardia di finanza, va delegata a determinare il grado di responsabilità gestionale, e la sua distribuzione tra i quadri dirigenziali. Il fallimento deve comunque essere preceduto da commissariamento ([14]) ([15]).
7 Classificazione ed informazione
La legge americana Glass-Seagall ha funzionato bene per anni. La motivazione della sua cancellazione (“siamo solo noi ed il Giappone ad averla”), inconsistente. Le conseguenze della sua cancellazione disastrose.
Al contrario, la logica ci suggerisce la necessità di classificazione delle banche per funzione, e corrispondenti limiti di esposizione al rischio (indice di copertura ed altri).
Tali funzioni, però, non sono due, come nella ex-legge americana, ma tre:
– conto corrente
– risparmio
– investimento
a cui corrisponderanno diversi interessi di propensione al rischio dei detentori dei conti.
Ora, non è necessario che il diritto obblighi ad alcunché diverso dalla solita difesa dei diritti naturali. In questo caso, per difendere il diritto alla proprietà privata, interverrebbe semplicemente il diritto corollario alla corretta informazione. Ogni cittadino dovrebbe cioè avere il diritto di conoscere:
– la classificazione di propensione al rischio del proprio istituto bancario (i tre tipi di cui sopra);
– l’istantanea situazione di rischio della propria banca. Ovvero, la facile disponibilità, sia in agenzia che sul sito della banca, dei dati istantanei dell’indice di copertura e del portafoglio creditizio ([16]).
Ora è in grado di conoscere, in modo abbastanza faticoso, ben poco.
8 La proprietà della banca centrale
Una Banca centrale di un paese dovrebbe avere due funzioni principali:
– regolare la quantità di moneta e di base monetaria;
– sorvegliare la legalità dell’attività delle banche.
E’ innegabile che ognuna di queste due funzioni è tipica dell’autorità pubblica di un paese.
Eppure, la banca centrale nazionale non è di proprietà pubblica. Cioè: Le quote di partecipazione al suo capitale sono per il 94,33% di proprietà di banche e assicurazioni private, per il 5,67% di enti pubblici (INPS e INAIL). I due maggiori azionisti, Intesa Sanpaolo e UniCredit, detengono il 52%.
Nonostante ciò, la banca centrale è “definita”, dal 1936, “istituto di diritto pubblico”. Che senso ha, visto che dal 1993 è una SPA, e quindi regolata dalle norme del diritto privato? ([17])
Analizziamo meglio le due funzioni citate, e la loro compatibilità con la natura proprietaria..
Attività di sorveglianza
Possono le banche sorvegliare se stesse? Ovviamente no. Il fatto che il “governatore”, ovvero colui che presiede il consiglio di sorveglianza ([18]), sia nominato dal Tesoro, non sana la contraddizione.
Regolazione della base monetaria
Il discorso, qui, è più complicato. Perché nella Storia, il potere pubblico senza limiti di emettere moneta ha sempre provocato disastri. Di che tipo? Ovviamente inflattivi.
Ma ragioniamo: questo non è un problema di proprietà della attività emissoria. E’ un problema di limitazione di tale attività.
Infatti, la tentazione inflattiva si è verificata anche quando il potere emissorio era privato. La nascita stessa della banca d’Italia è legata ai problemi di limitazione dell’attività emissoria delle quattro banche private che detennero questo potere per una ventina d’anni dopo la nascita del regno.
Conclusione:
– La Banca Centrale nazionale, sia per la sua funzione di sorveglianza, che per quella di difesa della proprietà privata dei cittadini (valore della moneta) ([19]) dovrebbe essere esclusivamente di proprietà pubblica([20]).
– Il fatto che i suoi poteri vadano a sua volta limitati e sorvegliati è vero. Ma il limite lo deve definire la Legge, non il suo stesso consiglio di amministrazione. E la sua sorveglianza deve competere ad organi ispettivi pubblici, ed eventualmente anche privati, ma separati. Ma non a se stessa.
9 La politica monetaria della Banca centrale
Cos’è una “banca centrale”? E’, principalmente, un ente che regola la quantità di moneta in un Paese. Quali sono i criteri? Non c’è scritto chiaramente da nessuna parte ([21]). Questo è un problema. E’ il problema, che ha conseguito tutti quei comportamenti schizoidi che caratterizzano la storia delle banche centrali, da quella italiana, a quella USA, a quella Europea.
In questo momento, parlare di questi criteri può sembrare inutile, visto che tale regolazione non compete più al nostro paese. Ma avere le idee chiare sull’argomento giova.
Ebbene, il criterio è quello indicato in nota nel paragrafo iniziale: “. . . l’investimento ha come scopo quello di accumulare, nel tempo, più denaro del capitale speso in partenza.” Perciò un sistema capitalistico di successo (ovvero in crescita) deve necessariamente aumentare la quantità di moneta. Uno stabile (stagnazione) o in perdita (depressione), invece, non ne ha bisogno.
Pena il pericolo di inflazione, ovvero di perdita di valore di retribuzioni, pensioni, compensi, patrimoni, capitali. E del valore reale del ritorno degli investimenti capitalistici.
L’errore contrario, ovvero la contrazione monetaria, determina il problema inverso: la mancanza fisica dell’aumento monetario previsto dagli investimenti e la deflazione. Che, tra gli altri problemi, vede quello di bloccare gli investimenti. Se io so che il mio capitale, nel tempo, aumenta automaticamente di valore senza che io lo investa, perché dovrei farlo, rischiando così di perderlo? In altre parole: fallimenti a gogo.
Il criterio è quindi quello di aumentare la quantità di moneta in modo coerente con la crescita economica. ([22])
Non solo per difendere il valore della proprietà privata, come abbiamo visto nel capitolo dedicatovi. Ma anche per difendere la libertà d’impresa.
Andrebbe scritto in Costituzione? Stiamo parlando di diritti fondamentali, perciò la risposta è un doppio sì.
Dove? In tre punti, ovvero quelli che trattano
– la difesa della proprietà privata;
– la difesa della libertà personale, ed in particolare il diritto d’impresa
– l’istituzione della banca centrale, con la descrizione del suoi obiettivo di salvaguardia del valore della moneta.
In altre parole, il mantenimento dell’equilibrio tra la sua quantità ([23]) e la sua necessità ([24]).
Coerentemente con quanto già scritto per la difesa della proprietà privata, sarebbero quindi da vietarsi politiche anticicliche, ovvero di contrazione in presenza di crescita ([25]), nonché espansione in presenza di stagnazione o recessione ([26]).
Facendo rientrare la consapevole violazione di questo indirizzo come una violazione di diritti individuali, nel complesso di un sistema costituzionale giusnaturale essa sarebbe un reato ([27]) ([28]).
1.6.10 Le modalità di aumento della moneta
Ultimamente, questo è un tema molto dibattuto. Tralasciando però tutte le sciocchezze che lo hanno generato (quelle sul “signoraggio”), è indubbio che le attuali modalità concedano di gran lunga troppo arbitrio decisionale alle banche centrali.
La modalità più diffusa (OMO) è quella del prestito di nuova moneta alle sole banche, ricevendo in garanzia (detta collaterale) titoli di Stato o, più raramente, obbligazioni private. Il che, specialmente per sistemi multistato come gli USA e l’Europa, concede margini di arbitrio troppo ampi. Specialmente per la BCE, che addirittura compra direttamente titoli di Stato ([29]). In ogni caso, tale modalità sbilancia l’attività del credito bancario verso quest’ultima tipologia ([30]).
E’ inutile sostenere che per una BC prendere a garanzia titoli (di Stato) tossici, sarebbe contrario ad ogni logica finanziaria. E’ inutile perché invece abbiamo sotto gli occhi l’esempio della BCE, che lo fa.
Purtroppo, per impedire ai governi di finanziare i loro stessi malgoverni, diventa necessario a livello istituzionale imporre la garanzia collaterale in titoli a basso rischio ([31]). Rischio da parametrarsi al valore dello stesso tasso di sconto (ora detto di riferimento).
1.6.11 Il ricavato dell’attività emissoria (signoraggio)
Il ricavato di tale attività è l’interesse, attualmente chiamato TUR (signoraggio), che ha impieghi non precisati ([32]). In Italia, viene buttato ([33]) nel calderone del bilancio pubblico ([34]). Dovrebbe, invece, essere utilizzato per le riserve auree e di valuta straniera. È logico. Aumentando la base monetaria, deve aumentare anche la riserva. Inoltre, le valute straniere sono uno strumento valutario di cui i governi dispongono. Uno strumento da non utilizzare mai, ma da preservare (si vis pacem, para bellum).
1.6.12 Il segreto bancario
E’ un diritto naturale? Non proprio. E’ un diritto conseguente. Ed anche una garanzia contro l’arbitrio politico. In sintesi, è necessario ad almeno tre cose: a condurre tranquillamente la propria attività economica senza che i suoi naturali alti e bassi scoraggino il credito (libertà d’impresa), a difendere la tranquillità individuale dall’invadenza di parenti ed “amici” (riservatezza), ma soprattutto a difendere il cittadino dal possibile arbitrio dell’autorità pubblica (garanzia). La necessità di un’autorità pubblica necessita anche di garanzie contro la sua prepotenza. Ebbene, il segreto bancario è una di queste ([35]).
Ma se è così, in quali casi il segreto bancario, concordato con una banca pagata a questo scopo, potrebbe e dovrebbe essere violato?
Come al solito: nei casi in cui è necessario difendere i diritti fondamentali del cittadino. Ovvero:
– su richiesta dell’autorità ai fini a provare un reato ([36]);
– in caso di carica pubblica elettiva o dirigenziale ([37]).
Perché quest’ultima? Perché qualunque potere che eleva un cittadino sopra gli altri necessita di una sorveglianza. I movimenti economici dei politici, ed in particolare delle cariche elettive, della dirigenza amministrativa pubblica e del potere giudiziario, devono essere di pubblico dominio senza “se” e senza “ma”. Essere eletti ed avere incarichi che influenzano la vita di migliaia di cittadini non è obbligatorio. Ma se si fa, bisogna fornire gli elementi che permettono ai cittadini di controllare la propria condotta. Non dovrebbe essere un gran sacrificio. Parigi val bene una messa … in piazza dei conti correnti.
[1] Ma i malevoli sostengono che l’abbia presa pari pari dalla “Favola delle api” di Bernard de Mandeville.
[2] Preciso, in quanto è importante ai fini di politica monetaria: l’investimento ha come scopo quello di accumulare, nel tempo, più denaro del capitale speso in partenza. Perciò un sistema capitalistico di successo (ovvero in crescita) deve necessariamente aumentare la quantità di moneta. Uno stabile (stagnazione) o in in perdita (depressione),. invece, no. Ma questo è un altro discorso.
[3] In realtà pochissimo, come i nostri attuali.
[4] Una differenza di funzionamento imposta per legge stava anche nella cosiddetta riserva obbligatoria, ovvero i depositi minimi che l’istituto deve mantenere per poter prestare ad interesse.
[5] Attualmente in Europa la riserva obbligatoria è dell’1%. Cioè, per ogni euro fisicamente in loro possesso (depositato presso la BC), le banche possono aprire crediti per 99 euro.
[6] Secondo i sostenitori dell’abrogazione, tale legge ostacolava la competitività del settore bancario americano rispetto a quello estero. Ed a parte il Giappone, erano l’unica nazione che separava le funzioni bancarie.
[7] Tra cui la Lehman Brothers
[8] Nonché aumento del debito pubblico per via di eseguiti interventi federali di salvataggio e parziale rimborso.
[9] Esempio: Filippo il bello ed i templari
[10] Esempio: Filippo II d’Asburgo ed i Fugger
[11] Hitler in Austria. La quale, come banche, era come la Svizzera oggi. Pensiamo se l’Italia si facesse prestare dalle banche svizzere i soldi per un migliaio di carriarmati, e poi con questi invadesse la Svizzera e nazionalizzasse le banche. E che ci vuole? Solo un premier pazzo spregiudicato ed un altro scemo patentato. Due qualità sovente presenti contemporaneamente nel politico di successo. Il problema, in questo caso, fu proprio la specializzazione.
[12] Attualmente, vi è una garanzia parziale sui depositi costituita da fondi interbancari. E’ una soluzione inutilmente complicata, che non da garanzie sicure, né veloci, né corrette, né sufficienti.
[13] La banca centrale, applicando spese di tenuta conto maggiori di quelle del mercato (perché effettivamente li ha), indurrebbe il riassorbimento graduale di tali conti correnti nel mercato dei depositi. Le manovre progressive sul tasso di sconto e le operazioni OMO recupererebbero in tempi medio lunghi lo sbilanciamento dell’aggregato M1. Per precisione, basterebbe escludere dal calcolo dell’M1 questo conti presso la BC (come sempre), i cui depositi comincerebbero ad influire sul suo valore, e quindi sulla regolazione monetaria, man mano che venissero riassorbiti nel mercato dei depositi.
[14] Il commissariamento deve necessariamente prevedere il potere di revisione di tutti i centri di spesa, compresi gli stipendi, con l’obiettivo però di salvare l’impresa e quindi i suoi posti di lavoro. Lo stato di commissariamento fallimentare dovrebbe quindi prevedere la sostituzione dei contratti con nuove proposte contrattuali.
[15] Ma dove imporre tale prescrizione? In Costituzione? E nel caso, dove? Bè, i casi sono due: o l’attività bancaria è considerata un potere (purtroppo ora lo è), ed allora tale potere andrebbe trattato nella sezione organizzativa dei poteri dello Stato. Nell’ottica giusnaturale, invece, l’attività bancaria non è un potere pubblico, bensì una semplice attività regolata da contratti commerciali privati. L’ente che ha potere è invece la BC, che ha tra i propri compiti proprio la sorveglianza delle banche private. Va da se che la prescrizione succitata va inserita proprio nella descrizione dei poteri della BC, intesa anche come mezzo di sorveglianza di tale potere, in modo indiretto (l’analisi dei fallimenti bancari) da poteri separati (magistratura specializzata e guardia di finanza).
[16] Se anche l’indice di copertura fosse 0,5 ma tale 50% fosse in attività rischiosissime, dubiterei della solidità dell’istituto.
[17] Breve storia della Banca d’Italia. Nel 1849 nasce la Banca Nazionale degli Stati Sardi, che Cavour vuole come tesoreria di stato ed unica zecca autorizzata di banconote. Nel 1867, unita alla Banca di Parma e quella delle 4 legazioni, diventa Banca Nazionale del Regno. Non è più l’unica a poter emettere banconote, e nel 1866 (III guerra d’indipendenza) le viene anche concesso il corso forzoso, ovvero deroga dall’obbligo di convertibilità dei biglietti in moneta (la cui differenza di valore intrinseco veniva chiamata aggio). Tale deroga, concessa fino1881, dimostrò che la moneta aveva un corso fiduciario indipendente dal valore intrinseco. Nonostante il ripristino della convertibilità, a causa dell’incapacità di sorvegliare l’attività emissoria (scandalo della Banca Romana), i quattro istituti vengono fusi nel 1893 in un’unica banca di emissione: la Banca d’Italia, con ripristino del corso forzoso. Una parziale convertibilità lira/oro fu ristabilita nel 1927, ma poi sospesa nel 1935 alla vigilia della guerra d’Etiopia. Le leggi fasciste severissime che cercarono di arginare l’ascesa dei prezzi e la perdita di valore della valuta fallirono. Dopo la guerra gli eventi più importanti furono. Nel 1981 l’Istituto venne svincolato da quell’obbligo di acquistare debito pubblico (Legge Andreatta) che aveva caratterizzato l’inflazione a due cifre degli anni settanta. La legge Carli del 1992 impedisce al governo di decidere il tasso di sconto. Negli anni ’90, il Tesoro perde sempre più azionisti pubblici in favore di banche private. Nel 1999 e nel 2005 tentativi legislativi falliti di recuperarne la proprietà si infrangono contro il DPR Prodi/Schioppa/Napolitano del 2006 che li abbatte definitivamente. Nel 2005 il governatore Fazio (ultimo governatore a vita) si era dimesso per aggiotaggio (condanna definitiva) a favore di banche private. Nel frattempo, dal 1998 il dlgs 43 aveva sottratto alla Banca d’Italia la gestione monetaria, delegata alla BCE.
[18] Solo il governatore della Banca d’Italia è eletto dal Governo, a seguito di consultazione con il “Consiglio Superiore” della BdI. Che però è licenziabile dal Consiglio stesso. Tale Consiglio, eletto dai soci (al 95% banche “private”, in particolare Unicredit ed Intesa che insieme detengono il 55%, elegge anche il direttore, i vice direttori, ed altri. La cosa curiosa è che i 12 componenti del consiglio, per tradizione, non sanno nulla né dell’organizzazione di bankitalia, né di diritto bancario, né di politica monetaria. La maggior parte sono imprenditori. Il consiglio è così indipendente dal governo che uno di essi nel 2012 è stato addirittura costretto a dimettersi (per “statuto”) perché collaborante col governo di Monti.
[19] Obiezione: attualmente, l’emissione di Euro è competenza della sola Banca Europea, di cui le banche nazionali sono praticamente succursali periferiche (Sistema Europeo Delle Banche Centrali -SEBC).
Vero. Ma a maggior ragione, a sorvegliare ciò che sta facendo la Banca Europea in fatto di emissione monetaria deve essere un’autorità dotata di responsabilità pubblica. Cioè di responsabilità nei confronti di tutti i cittadini. Non nei confronti di Unicredit o gruppo Intesa-San Paolo.
[20] La cosa più ridicola è che, svelata per la prima volta nel 2004 (da “Famiglia Cristiana”!!) la proprietà della ns.banca centrale, Tremonti fece approvare una legge (262/2005) per il suo ritorno in proprietà pubblica (del Tesoro) entro il 2008. Legge del tutto disattesa. Ci riprovò Letta nel 2013 con un dlgs “di rinforzo”. Nulla di fatto. Evidentemente, le leggi non si applicano né alle banche né agli enti pubblici. Per questo ci vorrebbe una Costituzione con gli attributi…
[21] Non fa eccezione la Comunità Europea: il trattato di Mastricht, inizialmente pone alla BCE l’obiettivo della stabilità (art.105), ma successivamente devia pretendendo che la politica monetaria sostenga le politiche economiche degli Stati (citate all’art.2, tra cui l’occupazione e la crescita), dimostrando così di essere dominabile dall’equivoco Keynesiano (curva di Phillips) . Un approccio che l’attuale politica del sig. Draghi del “quantitative easing” per “stimolare la crescita” ha reso palese.
[22] Questa teoria, l’unica a mio avviso confutabile sia teoricamente che storicamente, è detta monetarista. I suoi sostenitori si dividono però in due correnti:
– quelli che ancorerebbero la crescita monetaria a quella del PIL;
– quelli che, sostenendo che l’andamento del PIL non è esatto, non rispecchia esattamente l’andamento economico, e comunque lo fa troppo tardi, propongono di istituire un valore costante tratto da dati storici di successo (il 3% annuo).
Personalmente, opterei per il primo, che è meno opinabile del valore fisso, laddove l’andamento economico può essere ben lungi dalla costanza. Ma questo è in realtà un dettaglio. L’importante, a livello costituzionale, è l’obiettivo.
[23] Esprimibile tramite l’aggregato M1
[24] Approssimativamente indicato dal valore reale del PIL (=GDP).
[25] Che caratterizzò invece il primo quinquienno della moneta Euro, con una politica che fu definita suicida.
[26] Cioè l’attuale politica dell’Euro, a cui conseguiranno inflazione e svalutazione. Ma attenzione: in realtà, la precedente politica erroneamente restrittiva ha portato le banche sull’orlo della bancarotta. Anzi, in realtà lo sono già, in quanto le maggiori sono ben al di sotto del limite del 3% di indice di copertura . Proprio per questo, l’attuale espansione non farà inizialmente che colmare i vuoti, come già fece la politica del new deal al tempo della grande depressione. Ciò riporterà fatalmente gli economisti del breve periodo nell’equivoco keynesiano, del “money no matter“, intendendo che l’espansione monetaria durante stagnazione non comporta inflazione. In realtà, ciò non avviene solo se l’economia è già in deflazione potenziale, ovvero se il secondo errore (espansione anticiclica) sta compensando il precedente (contrazione anticiclica). La verità è che money matter, (da cui il termine monetarismo).
[27] Cioè la pena detentiva, almeno per quel poco tempo necessario a rifondere i danni patrimoniali prodotti a milioni di cittadini, a carico dell’amministratore (legislatori, ministri, dirigenti o funzionari) coscientemente colpevole.
[28] Quanto qui affermato sopra di politica monetaria e dei fallimenti bancari sembra prescindere dal fatto che la banca centrale nazionale non è più autonoma, ma dipendente da quella europea. Bè, basterebbe aggiungere “compatibilmente con gli impegni assunti in ambito extranazionale”. Ma è importante che il concetto dell’obiettivo di una “politica monetaria” venga chiarito una volta per tutte. Solo avendo le idee chiare si può influire sulle altrui.
Aggiungo che solo un Paese già sulle sue gambe potrebbe imporre alla CE corrette riforme e politiche. Al contrario, gli stipendi italiani (in gran parte parassitari) nonché le pensioni (idem), mantengono ora il loro valore solo perché lo mantiene l’Euro. Ovvero: le mancanze dell’economia nazionale sono compensate dalle virtù altrui.
E’ ora di rimettersi in piedi e tornare a camminare. Basterebbe sciogliere le proprie catene, di cui possiamo fabbricarci la chiave . . .
[29] Di quali stati, con che criterio, e quanto e perché? Chissà. Non c’è regola. Comunque, dei “paesi in difficoltà”. Ma che senso ha finanziare l’inefficienza politico-giuridica, o le classi politiche più ladre e parassite, a spese e rischio dei paesi virtuosi? Un’economia, si sa, è “un sistema giuridico”. E’ quest’ultimo che fa la differenza. Che determina il successo o il fallimento di un mercato e di un’economia. Ed allora, è su questo che gli accordi “economici” dei paesi dovrebbero puntare. Vuoi un prestito dalla CE? Allora, metti in Costituzione la garanzia dei diritti individuali dei tuoi cittadini, ed i mezzi per sorvegliare la tua classe politica. Dopodiché, visto che sei automaticamente diventato un debitore affidabile, ne parliamo.
[30] Con molte limitazioni negli USA. Infatti. colà è previsto il fallimento delle amministrazioni pubbliche (chap. 9 bankruptcy law), a cui segue un commissariamento. Dall’emanazione (1933) della legge, i fallimenti pubblici sono stati 645, tra cui quello dell’intera città di Detroit (2013) In pratica, il fallimento viene gestito tagliando un po’ tutto tranne i servizi essenziali: polizia, pronto soccorso, vigili del fuoco e giustizia.
[31] Sempre e solo sul mercato secondario, per influire il meno possibile sul primario.
[32] Ovviamente, non può essere trattenuto, perché genererebbe contrazione monetaria. Deve per forza essere speso.
[33] La quota riservatagli dalla BCE.
[34] A volte, succede di peggio: nel 2014 e’ stato utilizzato per una pasticciata manovra (rivalutazione delle quote azionarie detenute da banche private, con conseguenza tassazione del capital gain che ne e’ derivato in cambio di una maggior fetta di profitti ricevuta in futuro dalle banche) perché’ lo Stato Italiano aveva urgenza di far cassa e, come spesso fa, ha contratto un “prestito dal futuro”.
[35] Ovviamente, è un servizio che costa a chi lo fornisce, e quindi va riconosciuto e retribuito. Non è necessario che sia obbligatorio.
[36] Non illeciti qualunque, ma reati. E secondo la ns. definizione giusnaturale, solo le violazioni dei diritti fondamentali del cittadino, di cui abbiamo scritto. Si possono perciò escludere le presunte irregolarità fiscali.
[37] Anche quest’ultima proposta è un’anticipazione dei contenuti del Capitolo 2, quello sulla sorveglianza della classe politica. Non fa quindi parte dell’elenco dei diritti, ma di quello sulla separazione dei poteri. L’ho comunque aggiunto qui per completare l’argomento banche.