Keynes e il modello IS-LM

C’era una volta la curva di Phillips, che raccontava ai bimbi piccoli la favola secondo cui stampa di moneta ed inflazione riducevano la disoccupazione e stimolavano l’economia. La confusione tra la ricchezza di un paese, cioè la sua capacità di produrre ed offrire ogni giorno al mercato prodotti e servizi, e la moneta, cioè il mezzo che ne permette o scambio, è stato alla base dei disastri monetari ed economici di gran parte dei paesi sudamericani. Gli esempi sono così eclatanti che non vi è bisogno di aggiungere altro.

Altre volte, il narratore John Hicks proponeva la leggenda secondo cui la riduzione di imposte e balzelli fosse ininfluente rispetto alla crescita economica (deducendo questo concetto dal suo modello “IS-LM”), mentre al contrario l’aumento della spesa pubblica, indipendentemente dai fini e dai risultati, portasse inevitabilmente ad un incremento della ricchezza di un paese.

Questi bellissimi racconti mitologici, che suggeriscono a classi politiche entusiaste di spendere e spandere come se non vi fosse un domani, vengono oggi ripetute con costanza dal partito “Lega” del sig. Salvini, a mezzo dei suoi (sedicenti) economisti di riferimento Claudio Borghi ed Alberto Bagnai.

Per chi volesse approfondire, questo articolo di Miltone Frittomo riassume in modo semplice la mistificazione di cui è stato oggetto il citato modello IS-LM. E soprattutto le sue conseguenze.

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Il noto modello IS-LM, costituito da due curve sul piano cartesiano “produzione, tasso di interesse” è ancor oggi fonte di enormi fraintendimenti in politica economica e monetaria. Il ché è strano, perché  è  quasi sempre studiato nei primi corsi di economia insieme alle condizioni della sua applicabilità ed alla curiosa evoluzione nel tempo delle conseguenze dello spostamento delle sue variabili. Oltre alle citate tasso di interesse bancario e produzione, le altre variabili sono: la spesa pubblica, il consumo e gli investimenti (curva LM), massa monetaria e  domanda di moneta (curva LM).

In sintesi, le condizioni sono che non vi siano nel mercato altri parametri che influenzino quelli succitati, e che il periodo di tempo considerato sia breve.
In queste condizioni, al variare di uno di questi parametri, in particolare della spesa pubblica oppure dei tassi di interesse, i restanti si altererebbero naturalmente seguendo invariabilmente certe direzioni. Il problema è che, nel lungo periodo, gli stessi parametri ritornerebbero ai livelli precedenti, superandoli poi in direzione inversa.

Ma vediamo nel dettaglio.
La trattazione del modello che confuteremo ora è quella di wikipedia (qui), che lo presenta esente dalle osservazioni suddescritte. Ho quindi ripreso tale descrizione, sintetizzandola ed aggiungendo tali osservazioni, al fine di proporne una lettura ed una confutazione semplice ma allo stesso tempo completa.

Y = produzione (Income)
C = Consumo (Consumer spending)
I = Investimento
G = spesa pubblica (Government spending)
r = Rate = tasso di interesse

Curva IS (Investment/Saving) sul diagramma (Y, r)
Equazione IS:   Y = C+I(r-1)+G cioè     PIL= Consumi + Investimenti + Spesa pubblica
Ipotesi: poiché I diminuisce all’aumentare di r, così anche Y.
Condizione: trascuro il fatto che l’aumento di r possa essere una conseguenza dell’aumento di I, che il tasso di interesse del mercato segua quello di sconto, che vi siano altre variabili che influenzano gli investimenti quali gli interessi dei titoli pubblici o i regolamenti bancari imposti dalla banca centrale, le innovazioni tecnologiche etc.
In queste condizioni si osserverebbe che, nel breve periodo:

a) l’aumento del tasso di interesse comporta giocoforza una diminuzione del PIL

Osservazione: non necessariamente. L’aumento del tasso può avvenire come conseguenza dell’aumento degli investimenti e dei consumi. Inoltre, il tasso di interesse della banca centrale (controllabile) non è quello del mercato (incontrollabile). Infine, alterare il tasso centrale indipendentemente dalla richiesta di moneta del mercato (cioè del PIL) conseguirà condizioni sempre sfavorevoli sul sistema economico. Ad esempio la diminuzione dei tassi può aumentare G a sfavore di I, riducendo così anche il valore reale (netto da inflazione) di C.

 

Esplicitiamo l’obiezione con l’attualità. Poniamo che il tasso di interesse TUR sia azzerato. Le banche si fanno prestare a questo tasso quanto necessario per acquistare i titoli più sicuri che esistano,  ovvero quelli pubblici. Un profitto sicuro. Non c’è alcuna ragione per cui si mettano ad alimentare invece il sistema economico, cioè I. Aumenterà quindi G, ma non realmente la produzione ed i consumi, ma solo il loro prezzo. Oppure, nuovi prodotti e servizi aumentano effettivamente per questioni di avanzamento tecnologico (tipo cellulari, portatili, amazon, commercio elettronico etc.) ma la loro potenziale crescita verrà rallentata dalla deviazione degli investimenti verso G dovuta alla convenienza artificiale delle banche ad alimentare invece la spesa pubblica.

b) Se aumento la spesa pubblica G, ipotizzando costante il tasso r, aumento il PIL (Y).

 

 

 

 

 

 

 

Osservazione: può essere  vero solo nell’immediato perché:
. Se finanziassi G con le imposte, vedrei per forza diminuire C e I (causa imposte), non meno di quanto aumenterebbe G (=> Y’≤Y).
. Se ricorressi al debito, vedrei per forza aumentare il tasso r, sottraendo liquidità per I.
. Se stampassi e basta, idem (perché genererei inflazione, vedere sotto).
Il tasso r che conta non è infatti quello della banca centrale, che potrebbe anche essere controllabile, ma quello dalle banche al pubblico (gli investitori ed i consumatori). Il tutto trascurando il danno che l’investitore pubblico può procurare direttamente al mercato (quindi a Y) interferendo come operatore incompetente.

Conclusione: l’aumento ipotizzato è assumibile, nell’ultimo caso, solo nel breve periodo. Per non generare inflazione, l’aumento di G aumentando la massa monetaria dovrebbe conseguire un pari aumento della produzione e scambio di beni e servizi (Y) richiesti dal mercato. Ma la spesa pubblica G, diversamente da C ed I,  non è produzione, ma spesa. Quindi, il valore reale (reale=netto da inflazione) di Y’ sarà equivalente ad Y. Il problema è che l’inflazione aumenta r, quindi la posizione di E’, nel medio periodo, sarà Y’=Y ed r’ > r. Cioè pari ad Y precedente, ma in condizione di instabilità monetaria e tassi più alti. Cioè prodroma di una Y'<Y.

Curva LM (Liquidity-Money) sul diagramma (Y, r)

Equazione LM:           M = L (Y, r-1)     M rappresenta l’offerta di Moneta, L la domanda di Liquidità.
Ipotesi: L sarebbe direttamente proporzionale a Y (produzione), ed inversamente ad r (tasso di interesse). Quindi:

c) A parità di M (=L), l’aumento di Y (PIL) comporterebbe un aumento proporzionale del tasso di interesse.

 

 

 

 

 

Osservazione: Detto in termini monetaristi, se aumento gli scambi, la necessità L di mezzo di scambio (la moneta), aumenta. Quindi aumenta il suo prezzo (r). Questo è vero, ma solo nel breve periodo.

Il problema è che se, nonostante l’aumento di r, M non aumenta, l’aumento di scambi non potrà essere mantenuto. Quindi, superato l’effetto immediato, Y diminuirà esattamente al livello precedente, ma con r maggiore (investitori, consumatori o governo indebitati a tassi maggiori). Cioè, tutta la curva LM si sposterà più in alto, descrivendo una situazione economica sfavorevole, prodroma di recessione.
Quindi Y’ diminuirà sotto il livello di Y. Il contrario di ciò che la curva LM ipotizza.

Inoltre, la relazione trascura le variazioni di efficienza del sistema produttivo in conseguenza di I(r-1) [2] che mi sposterebbero l’intera curva verticalmente.


Intersezione tra le curve

1) E –>E’ per effetto dell’aumento della spesa pubblica G e di r inizialmente fisso.

2) Il disequilibrio finanziario mi sposterà verso E’’ (senza aumento di M).

In conclusione: ad un aumento di G, e senza aumento di M, conseguirebbero tassi più alti ma aumento di Y.

 

 

 

Osservazioni:  Poiché l’intero processo è eseguito senza aumento di M, il primo spostamento risulterebbe da un aumento di G mediante aumento di imposte o di ricorso al debito.
– Nel primo caso, non si avrebbe alcun aumento di Y, perché la diminuzione di C ed Y non sarebbe inferiore all’aumento di G.
– Nel secondo caso, aumenterebbe r.
In ogni caso, non si otterrebbe l’effetto voluto. L’unico modo sarebbe aumentare temporaneamente M, e poi ridurlo al livello precedente.
– Nella prima fase, si raggiungerebbe effettivamente E’, ma Y’ non sarebbe il valore reale (cioè netto da inflazione). Questo resterebbe uguale a prima.
– Nella seconda fase, si sottrarrebbe il mezzo di scambio. Gli scambi quindi tornerebbero al livello apparente precedente, ma ridotti rispetto al reale. Con un tasso r aumentato. Conclusione: ancora una volta, si sposterebbe l’ipotetica curva LM verso l’alto, con Y” inferiore a Y, e prodroma a diminuire ulteriormente.

Approfondimenti:
a) Se finanzio lavori pubblici infrastrutturali con denaro fiat, risulterà che, aumentando la domanda ma non la produzione di beni e servizi, Y = Y’ in termini reali (cioè al netto dell’inflazione). Finiti i lavori pubblici, la ricaduta della domanda causerà, sempre in termini reali, recessione. Unita ad un aumento dei tassi per compensare l’aumentata aspettativa in termini di inflazione.
b) Se invece l’aumento della spesa pubblica fosse permanente (assunzione di impiegati pubblici), ne risulterà una caduta degli investimenti [I(r-1)=Y-C-G], nonché povertà diffusa dovuta alla diminuzione del potere di acquisto (se più persone si dividono la stessa torta, ognuno avrà una fetta più piccola). Ed al precedente aumento dei tassi.
c) Se, infine, la spesa pubblica consistesse in una elargizione ai fini di investimento (I), si aprirebbe uno scenario di discriminazione tra investimenti, comunque forzati rispetto al naturale bisogno degli stessi, che turberà la concorrenza nel mercato e quindi il suo funzionamento. Se addirittura le istituzioni non fossero predisposte per la sorveglianza degli enti e dei funzionari pubblici, le elargizioni non finanzieranno investimenti ma detti enti o funzionari (ritorno ai casi a e b).

Conseguenze della teoria

L’ipotesi di Keynes/Hicks è che all’aumentare del benessere (cioè Y) diminuisca la propensione all’investimento (perché aumenta r) ed al consumo rispetto al risparmio improduttivo. Tale ipotesi è ovviamente assurda: come se, chessò, la Grecia che ha un basso PIL pro capite investisse più di USA o Svizzera che hanno un alto PIL.

Questa ipotesi portò comunque Keynes ed Hicks ad elaborare teorie secondo cui per migliorare l’economia bisognerebbe tassare di più, perché il troppo benessere renderebbe insufficienti gli investimenti ed il consumo, preludendo alla stagnazione e poi alla recessione economica. Al contrario, la spesa pubblica viene ipotizzata come infallibile produttrice di beni e servizi.

Tutte queste conclusioni, fondate su ipotesi di cui abbiamo descritto l’infondatezza, sono evidentemente smentite dai fatti storici, dalla logica e dall’esperienza quotidiana.

Conclusioni

Le curve IS ed LM sono plausibili, a certe condizioni, solo per un breve periodo, a causa delle inerzie reattive del mercato. Manovrarne i parametri (G, r, ed M) arbitrariamente conduce a modifiche al sistema economico che alterano le relazioni stesse, ovvero la posizione delle curve nel piano. L’errore è indotto dalla tentazione tipica dell’economista ad immaginare un modello economico “superfisso”, come ben spiegato da Sandro Brusco qui e qui. Ma anche a trascurare il valore reale (cioè netto da inflazione) dei parametri utilizzati.

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Note a piè di pagina

[1] La “curva” di Phillips è una teoria che sostiene una relazione inversa tra disoccupazione ed inflazione (cioè andrebbero in direzione contraria: più occupati, più inflazione). E che questa relazione sarebbe biunivoca. Cioè aumentiamo l’inflazione, ed aumentiamo l’occupazione. Basta un’occhiata alla storia monetaria recente del Venezuela, per capire l’assurdità di questa teoria.

[2] L’ipotesi sarebbe che l’investitore raggiunge un maggiore fatturato senza mai aumentare il margine e quindi senza ridure il proprio indebitamento. Al contrario, l’obiettivo di ogni investimento è proprio quello di ridurre l’indebitamento, e quindi il tasso r. Aumentare la produzione conseguendo un aumento proporzionale dell’indebitamento, o addirittura peggiorarlo con l’aumento di r, non è l’obiettivo di un investimento. Vista dal punto di vista del margine, invece, si può anche dire che l’aumento di questo (cioè della percentuale di ricavo rispetto alla spesa), aumenta Y in modo maggiore di L. Quindi neanche la relazione di proporzionalità costante tra Y ed L è necessariamente vera.

 

 

Questo articolo ha 7 commenti.

  1. Interessante, grazie, ma forse si può provare a renderlo ancora più chiaro.
    Ad esempio, non è chiara la descrizione del rapporto di causa ed effetto dell’efficienza produttiva sulla curva LM: anche io che sono un “economista” per formazione trovo difficile, alla luce dei grafici e delle descrizioni fornite, fare il collegamento logico tra aumenti di efficienza del sistema produttivo ed impatto sulla domanda di moneta e da essa sul tasso d’interesse: forse i passaggi andrebbero spiegati meglio, anche se questo ne richiedesse uno ulteriore intermedio.
    inoltre, il testo andrebbe ripulito dagli errori, forse dovuti alla formattazione del testo, per rendere il tutto di più facile comprensione.

    1. Grazie del commento. Ho provato per ora a ripulire un po’ di errori.
      Per quanto concerne il collegamento richiesto, immagino sia quello descritto nel commento a “Curva LM (Liquidity-Money) sul diagramma (Y, r)”. OK, lo aggiungerò in nota, per non appesantire il testo.

  2. Queste equazioni e formule si commentano da se’ l’economia non segue regole matematiche ma piuttosto le leggi del caos tant’è e tali sono le variabili e le loro interconnessioni. Come disse un grande economista “il merito della scienza economica è stato quello di dare dignità scientifica all’astrologia”. Il solo grande merito del signor Keynes è stato quello di scrivere libri in cui la spesa pubblica diventa il deus ex machina della crescita dando a generazioni di politici la scusa per appropriarsi di quantità crescenti del denaro dei contribuenti e farne ciò che gli pare.

    1. Bè, sì. Però è naturale per l’uomo razionalizzare tutto, e poiché esprimere tutto in modalità analitica è popolare a livello accademico, riuscire a mettere in discussione i modelli previsionali è un buon esercizio.
      Non puoi battere il tuo nemico, se non lo conosci.
      E non puoi neanche dialogare con lui, se non ne conosci il linguaggio.

  3. La cosiddetta curva di Phillips è dimostrata solo nella situazione in cui una robusta crescita con occupazione anch’essa in crescita economica produce aumento dei consumi e quindi una modesta inflazione da limitato eccesso di domanda . Questo fenomeno può aver autorizzato ad ipotizzare un rapporto fisso che non esiste.

    1. La curva di Phillips, che mette l’occupazione in relazione diretta con l’inflazione, in certi casi può essere vera, ma solo nell’immediato: l’inflazione dovuta ad un eccesso di moneta è equivalente ad una riduzione di salari rispetto ai prezzi, in condizioni di aumento della domanda. Questi due aspetti inducono quindi a più assunzioni. Subito dopo la “bolla” (scoperto l’inganno), il mercato si riadegua, e si tornerà all’occupazione precedente ma con prezzi aumentati, cioè a condizioni sfavorevoli che preludono ad una riduzione dell’occupazione (effetto opposto). E’ spiegato anche qui: https://it.wikipedia.org/wiki/Curva_di_Phillips.
      Per quanto concerne la crescita, questa non necessita di alcuna inflazione. Necessita solo di un adeguamento del mezzo di scambio (moneta). Ma questo non si tradurrà in inflazione, proprio perché l’offerta eguaglierà ancora la domanda.

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