Guerra ed Economia

È popolare convinzione che le guerre stimolino l’economia dei paesi che le fanno.

A supporto di tale tesi, si riportano esempi storici, primo fra tutti la ripresa economica mondiale a seguito della seconda guerra mondiale (non della prima).

Cosa significa? C’è qualcosa di vero?

Il concetto è ovviamente falso. Se fosse vero, basterebbe che due nazioni o gruppi di nazioni simulassero una guerra, costruissero navi missili aerei e carrarmati, per poi affondarli periodicamente nell’oceano e ricominciare daccapo.

Ma una certa la corrispondenza storica esiste. Perché?

È molto semplice. Le dichiarazioni di guerra comportano (comportavano? Chissà…) due conseguenze immediate: l’economia di guerra e gli arruolamenti forzati.

L’economia di guerra comporta la soppressione di tutte le regolamentazioni e restrizioni del mercato del lavoro, degli ostacoli burocratici alla produzione di beni e di servizi  nonché di tutti i privilegi di classe quali vitalizi, superpensioni, finanziamenti a gruppi, classi, clientele etc.

Gli arruolamenti forzati conseguono una enorme riduzione dei dipendenti pubblici. Cioè, rimangono pubblici, nel senso che diventano militari, ma quando la guerra finisce vengono dismessi.

In altre parole, può capitare che la guerra riporti le istituzioni allo “stato minimo”. Come accadde alle istitutuzioni italiane e tedesche dopo l’ultima guerra. In questo caso, e solo in questo, le conseguenze post-belliche risulterebbero in boom economici. Con un lento e continuo degrado man mano che le file dei dipendenti pubblici si ingrossano, i privilegi (chiamati spesso in questo paese diritti acquisiti) vengono ripristinati, il mercato del lavoro vieppiù bloccato, e la burocrazia si espande fino a bloccare il mercato, il lavoro e l’iniziativa imprenditoriale.

Ecco, questo è il ciclo economico tipico guerra-e-pace. Non è sempre così. Se l’economia ante-guerra permane, come spesso succede ai paesi vincitori, la fase di sviluppo è ben più breve, o neanche si fa vedere. Al contrario, i vinti subiscono normalmente un ricambio istituzionale il cui sviluppo parte dallo status quo (casi Italia, Germania e Giappone post bellici)

Sarebbe da proclamare “vae victoribus” (guai ai vincitori), senonché in epoca moderna i vincitori sono risultate sempre le economie già più sane e dotate di meccanismi automatici di riduzione della spesa pubblica. Vedere a questo proposito anche il post “Il fallimento degli enti pubblici”, in questo stesso argomento economico, oppure ilpost sul “Federalismo”, nell’argomento “Istituzioni e riformabilità”.

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