26 LUGLIO 1928: NASCE KUBRICK

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Figlio di un medico del Bronx di origine ungherese, Stanley Kubrick, inizia la sua attività nel campo delle arti figurative con la fotografia. Giovanissimo si afferma come fotoreporter, per poi iniziare a girare alcuni cortometraggi. Nel 1954 realizza il primo lungometraggio, Paura e desiderio, in seguito disconosciuto, ma solo nel successivo Il bacio dell’assassino (1955) si inizia ad affermare un talento visivo fuori dal comune, pur nell’ambito di un noir convenzionale. Il film viene acquistato da una grande casa di produzione e ciò permette a Kubrick di poter disporre di una certa somma per realizzare il successivo Rapina a mano armata (1956) nel quale la sua genialità si manifesta completamente. Il territorio del film infatti è ancora quello del noir e tutta la pellicola racconta la minuziosa messa a punto di una rapina. Kubrick però non si accontenta di una narrazione piatta dai tempi scanditi ordinatamente. Il film segue un percorso articolato che riesce a creare suspence seguendo la descrizione di ogni singola azione della rapina dal punto di vista di tutti i protagonisti. Alla fine, seppure dietro un tono ironico, si giungerà alla conclusione che è il caso a governare le vicende degli uomini.
Orizzonti di gloria (1957) accentua le caratteristiche di Kubrick, che mette in luce come l’ingiustizia della guerra è la conseguenza delle regole sociali che creano iniquità e sopraffazioni. Dopo il deludente Spartacus (1960), Kubrick divorzia definitivamente da Hollywood. Da allora curerà, convinto che questo sia l’unico presupposto per l’effettiva libertà di un regista cinematografico, ogni singolo aspetto della produzione e della realizzazione dei suoi film, con precisione quasi maniacale. Sarà così per Lolita (1962), adattamento del romanzo di Nabokov, con cui entrano nell’opera di Kubrick sia la matrice passionale della violenza, sia lo smarrimento dell’individuo che coltiva ed esaspera le proprie frustazioni sessuali. Sarà così per il Dr. Stranamore, ovvero come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba (1964), dove in più il regista mette a punto un originale registro umoristico, al servizio di una satira che colpisce la fobia della distruzione nucleare e il militarismo americano. Ma dietro questa satira, si sta formando in Kubrick la convinzioneche l’errore è sempre presente all’interno della società, governa i rapporti, condiziona le regole. E non esiste comportamento, neanche il più impegnato, che possa sovvertire queste dinamiche. Da questo quadro della società, Kubrick finirà per trarre la conseguenza che è impossibile per l’uomo viverci dentro riuscendo a soddisfare le proprie aspirazioni. Ma la passione insoddisfatta genera tensioni, psicosi, violenza. Queste intuizioni si chiariranno in un contesto più ampio quattro anni dopo, sia in2001, Odissea nello spazio, che in una pellicola che suscita polemiche e discussioni, Arancia meccanica (1971), tratto da un romanzo sperimentale di Anthony Burgess. La filosofia artistica di Kubrick in questo film si arricchisce di un altro elemento: l’uomo che non può dar sfogo ai propri desideri diventa violento. Ma la società per reprimere questa violenza non sa far altro che ricorrere ad altra violenza, in parte peggiore, in quanto colpisce l’individuo minandone il carattere e la personalità. La descrizione della violenza dell’individuo viene particolarmente curata da Kubrick e, nel confronto con quella della società, finisce per apparire affascinanate. La qual cosa suscitò diverse prese di posizione contro il film e perfino l’accusa di istigazione a delinquere.
Passano ancora quattro anni e Kubrick, stabilitosi definitivamente in Gran Bretagna, si cimenta ancora in un genere nuovo, la biografia storica, realizzando Barry Lyndon (1975), che racconta la vita di un arrampicatore sociale fatta di splendore e decadenza. Il contesto in cui ambienta questa storia è il Settecento, il secolo dei Lumi, quello in cui vengono fissate le regole della società moderna: la vicenda narrata nel film, non a caso, inizia nell’anno della rivoluzione americana e termina in quello della rivoluzione francese. É come se Kubrick volesse analizzare nel momento del suo nascere quella struttura sociale che considera come un pericolo per l’espressione umana.
Nel 1980 è l’horror a trovare in Kubrick un interprete incisivo e originale. Il pretesto è un racconto di Stephen King, The Shining, che il regista adatta liberamente in un film tenuto insieme dalla tensione che aumenta inesorabilmente col passare dei minuti, sostenuta da uno spazio fatto di enormi sale vuote, interminabili corridoi e labirinti inestricabili, che suscitano un’insostenibile sensazione di inquietudine e di orrore.
Dopo lunghi anni di silenzio, nei quali progetta una biografia di Napoleone, talmente ambiziosa da essere per sua stessa ammissione improponibile, Kubrick realizza nel 1987 un altro film di carattere bellico, Full metal Jacket, adattando un altro romanzo che sembrava non si potesse tradurre in immagini, “Nato per uccidere” di Gustav Hasford. La sfida è anche con un momento storico, la guerra del Vietnam, esplorato da tanti altri registi (Cimino, Coppola, Stone e altri ancora) e sul quale sembra ormai impossibile dire qualcosa di nuovo. Kubrick se ne serve per costruire un film antimilitarista nella cui prima parte fornisce un’immagine terribile della disumanità di un addestramento militare, e nella seconda suggerisce un’idea della stupidità per nulla eroica della guerra. Anche in questo caso il fine di Kubrick è di dimostrare come un sistema di regole sociali possa trasformare anche l’uomo più educato in un essere senza coscienza, capace di uccidere al servizio di una causa che non ha giustificazioni.

Tratto da: www.mymovies.it

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