13 OTTOBRE 1820: ARRESTATO SILVIO PELLICO

pellico

Gli Austriaci fanno arrestare Silvio Pellico. Pellico, intellettuale e scrittore divenuto famoso in tutto il mondo per il libro autobiografico Le mie prigioni: il racconto dei nove anni trascorsi in un carcere austriaco e della sua conversione alla religione cattolica. È conosciuto principalmente come uno degli eroi del Risorgimento italiano. In realtà la sua vita, prima e soprattutto dopo la prigionia, fu molto più complicata di come è raccontata da molti libri del liceo.
Il venerdì 13 ottobre 1820 fui arrestato a Milano, e condotto a Santa Margherita. Erano le tre pomeridiane. Mi si fece un lungo interrogatorio per tutto quel giorno e per altri ancora. Ma di ciò non dirò nulla. Simile ad un amante maltrattato dalla sua bella, e dignitosamente risoluto di tenerle broncio, lascio la politica ov’ella sta, e parlo d’altro.

Questo è l’incipit de Le mie prigioni . Quando Pellico scrisse queste parole, nel 1831, appena liberato dal carcere, aveva già cessato di essere un rivoluzionario, aveva rinunciato alla sua ideologia di gioventù e stava per prendere i voti. Nato nel 1789 in Piemonte si trasferì giovanissimo a Milano dove lavorò in alcuni importanti giornali dell’epoca, come il Conciliatore, una rivista in cui scrissero molti dei principali intellettuali italiani dell’epoca e che fu rapidamente chiusa dalla censura austriaca.
Si guadagnò da vivere lavorando come istitutore presso famiglie della nobiltà meneghina e scrivendo opere teatrali che però non ebbero grande successo. Frequentò gruppi di idee liberali e patriottiche che miravano a unificare l’Italia. Entrò a far parte dei “Federati”, una delle numerose cellule di carbonari che sorsero in tutta Italia tra gli anni Venti e gli anni Trenta e che furono facilmente sgominate dalle polizie dei vari Stati italiani.
Dopo l’arresto cominciò il processo che si conclusa con una sentenza di morte per tutti gli imputati, tra cui Pellico. Dopo poco, tuttavia, arrivò la grazia dell’Imperatore che commutò la pena in carcere duro per 15 anni.
Per gestire l’improvvisa ondata di carbonari e rivoluzionari che stava nascendo nei domini italiani, il governo austriaco decise di trasformare in prigione una vecchia fortezza vicino a Brno, nell’odierna Repubblica Ceca, il castello di Spielberg. Un’intera ala dell’edificio venne restaurata ed ingrandita per ospitare i carbonari italiani. I primi ad arrivare furono i condannati nel processo del 1819. La seconda infornata fu quella dei Federati, tra cui proprio Pellico.
La vita nello Spielberg è il vero protagonista del racconto di Pellico. Si trattava di un carcere duro, con celle umide e poco ventilate. Scrivere lettere e comunicare con l’esterno era molto difficile e il cibo era poco e di cattiva qualità. Pellico racconta a lungo come i condannati impegnavano le loro giornate e gli atti di generosità che a volte i carcerieri – in genere abitanti del luogo – facevano nei loro confronti. Descrive anche il declino della sua salute e quello dei suo compagni, costretti a vivere con pochissimo cibo in un ambiente poco igienico. Dopo alcuni anni tutti i condannati cominciarono ad essere graziati. Pellico fu liberato dopo nove anni e iniziò a scrivere Le mie prigioni che non è solo un atto di accusa nei confronti del sistema carcerario austriaco carcere ma è anche un itinerario introspettivo dell’autore che spiega come la fede sia stata uno dei suoi pochi conforti durante la cattività. Le mie prigioni, stampato a Torino, fu rapidamente tradotto e diffuso in quasi tutta Europa. A Londra, dove viveva una folta comunità di esuli italiani – anche loro intellettuali rivoluzionari il libro ebbe una grandissima diffusione e moltissimi intellettuali inglesi condannarono apertamente l’Impero austro-ungarico per le condizioni barbariche delle sue prigioni.
Le mie prigioni divenne un atto di denuncia del sistema oppressivo dell’Impero e fu uno dei principali libri di ispirazione per i rivoluzionari dei vent’anni successivi. Pellico però da quegli ambienti si era allontanato completamente. Dopo essere stato graziato si trasferì a Torino, dove pubblicò altre tragedie di poco successo, alcuni libri di morale cattolica utilizzati nei seminari e continuò a fare da precettore per i figli dell’aristocrazia, oltre a diventare un terziario dell’ordine francescano. Nella parte finale della sua vita si avvicinò addirittura a gruppi di cattolici reazionari

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