SCIACK! IL DITO NELL’OCCHIO AL CINEMA. “Il clan” di Pablo Trapero (2015)

di Roberto Bolzantheclan4-xlarge

Unire eventi storici e politici e vicende personali e fare di questo misto un bel film è possibile, con buona pace di Michele Placido e Marco Tullio Giordana. Non che serva molto, basta non voler prendere lo spettatore per mano per condurlo in una qualche finzione costruita apposta ed alla quale piegare la storia. Basta avere una vicenda interessante da raccontare, un periodo cruciale con il quale iniziare, anche nella più classica e scontata delle maniere, con i titoli del telegiornale o con i discorsi dei generali trasmessi per tv. Serve almeno un attore decente, meglio se bravo e le idee chiare su come si raccontano le storie, e senza tante storie.

Argentina,1983. Leopoldo Galtieri è stato deposto, il paese è tornato alla democrazia con l’elezione di Raúl Alfonsín, inizia un lungo processo di riappacificazione con la propria recente storia, grazie anche all’istituzione del CONADEP (la commissione nazionale sulla scomparsa delle persone) e la conseguente compilazione del rapporto Nunca mas.

Con la complicità delle istituzioni governative e l’aiuto materiale del figlio Alex (Peter Lanzani), Arquímedes (Guillermo Francella) compiva sequestri a fine estorsivo, uccidendo però programmaticamente le sue vittime.
La signora Puccio si preoccupa principalmente di mandare avanti la famiglia e piange la lontananza del figlio maggiore, partito anni prima per l’Australia e mai più rimpatriato, mentre il minore, ancora adolescente ma più sveglio degli altri, decide di andarsene per non essere coinvolto negli affari di famiglia. Tra le figlie femmine del clan, solo Silvia sembra in qualche modo partecipare alle attività paterne, le altre due sono ancora in età scolare.
Ma l’Argentina è tornata ad essere un paese democratico ed i Puccio non hanno più generali a cui appellarsi e chiedere protezione per le loro malefatte. La situazione, per loro, si fa via via più difficile, fino all’inevitabile conclusione e le drammatiche conseguenze che ne derivano.

La storia dell’Argentina penetra nelle vicende di famiglia con discrezione, il film accenna brevemente alle vicende politiche ed il pubblico internazionale deve cercare di capire ed interpretare gli spezzoni. La frammentarietà nella comprensione dei fatti storici non impedisce di cogliere il senso, che il microcosmo della famiglia Puccio rappresenta il macrocosmo degli anni della dittatura, il male come ordinario quotidiano, l’omicidio e la tortura come un qualsiasi lavoro.

I personaggi non sono tutti rotondi (ad eccezione di Arquímedes, che può contare sulla forza della notevole e diabolica interpretazione di Guillermo Francella e dei suoi occhi di ghiacci), Alex si sveglia tardi dal suo torpore ed è un personaggio mancato (Epifania/Lili Popovich, invece è indovinatissima), le ingenuità non mancano (il contrappunto tra il rapimento e la sveltina in macchina, ma andiamo, suvvia).

Nonostante i difetti, Pablo Trapero è bravissimo nel farci vedere la mostruosità del normale.
PS: non serve dirlo, forse. La storia è vera.

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