SCIACK! IL DITO NELL’OCCHIO AL CINEMA. “Escobar (Escobar: Paradise Lost)” di Andrea Di Stefano (2014)

di Roberto Bolzanescobar

Torniamo da un viaggio di affari a Medellin e non vediamo l’ora di vedere il film appena uscito nelle sale. Non potevamo mancarlo anche se diffidiamo dei registi italiani, diffidiamo dei film francesi, dei film belgi e moderatamente di quelli spagnoli, diffidiamo dei premi del Festival di Toronto, di quelli del Festival del cinema di Roma e detestiamo i film distribuiti nelle sale italiane due anni dopo la prima uscita ufficiale nei circuiti che contano. Per non dire come siamo prevenuti nei confronti degli attori canadesi.
Ma a questi pessimi auspici non si poteva che rispondere coraggiosamente, andandolo a vedere, e ben ce ne incolse perché la pellicola è onesta e merita.

Giustamente il regista e sceneggiatore, attore di giovane successo alla sua prima prova dietro la macchina da presa, evita di incastrarsi nella storia del più ricco e grande criminale che la storia abbia conosciuto (al netto dei criminali politici, che fanno storia a sé). La storia di Pablo Emilio Escobar Gaviria avrebbe facilmente travalicato i limiti della storia che si voleva raccontare, rendendola ingestibile. 

Due fratelli canadesi si trovano in Colombia per aprire una scuola di sci. Un giorno Nick (Josh Hutcherson) incontra Maria (Claudia Traisac) e se ne innamora istantaneamente, ricambiato. Questo inizio dolciastro permette di introdurre l figura dello zia Escobar (Benicio Del Toro) che approva subito la relazione tra i due e li accoglie nella sua tenuta.
Nick sente che nella casa dove abita non tutto è come sembra e man mano intuisce che le ricchezze dello zio dell’amata sono frutto di attività illecite e di chissà quali violenze. Decide di fuggire con Maria in Canada ma proprio infule mentre Escobar lo convoca e gli affida l’incarico di nasconder una parte del suo tesoro e poi di uccidere il contadino che lo avrebbe accompagnato nel nascondiglio. Ovviamente questo non può avvenire ma gli eventi precipitano: mentre Escobar si consegna alla polizia colombiana (episodio reale) molti dei suoi sicari e collaboratori sono casi dai suoi fedelissimi che devono ora uccidere Nick come hanno già fato con il fratello e la sua famiglia.
In un crescendo di tensione Nick sfugge alla trappola della polizia che lo cerca e uccide i sicari ma viene ferito. Presentatosi a Bogotà all’appuntamento con la moglie, il film si conclude con un drammatico finale.

Giocata su misurati flashback la storia si svolge chiara e diritta all’obiettivo, che è il racconto di un episodio della vita del criminale Escobar, con l’accenno essenziale a due temi importanti: il grande attaccamento che gli portavano i poveri di Medellin, per i quali il narcotrafficante costruiva  ospedali e strutture pubbliche nonché stadi di calcio, e l’attaccamento alla famiglia ed alla religione, che però viene opportunisticamente ribaltato al momento più opportuno con grande cinismo.

Fa piacere vedere una storia narrata con polso sicuro e con la sapienza di base necessaria per non sbandare nella retorica, non infarcirla di luoghi comuni e non farsi prendere dall’ebbrezza di raccontare troppo lo scenario che fa da sfondo alle vicende personali dei protagonisti. Fa piacere vedere recitare come si deve, senza bisbigliare a fingere profondità intellettuale, anche a prescindere da Benicio Del Toro (che delle due ci è sembrato un po’ standardizzato, per la verità). Fa ancor più piacere assistere ad un’opera prima di un italiano che promette bene, che significa, ai nostri occhi, non farsi prendere dalle manie che prendono i registi di provincia che si danno a furbizie di facile fattura e sicuro consenso. E ancora di più, se possibile, vedere un budget di tutto rispetto (25 milioni di dollari) raccolto così inaspettatamente per una produzione che mai avremmo pensato.

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