SCIACK! IL DITO NELL’OCCHIO AL CINEMA. “Diritto di uccidere” (Eye in the sky) di Gavin Hood (2015)

di Roberto Bolzan1466074077380.JPG.html

La pellicola narra l’uso dei droni in guerra.

Il colonnello dell’esercito britannico Katherine Powell  (Helen Mirren) guida a distanza una squadra di militari antiterrorismo nella cattura, in territorio keniota, di una cittadina inglese che ha rinnegato il proprio paese per il fondamentalismo islamico di Al Shaabab. Quando l’esercito, servendosi di droni, scopre la verità sui piani dei terroristi (che stanno preparando un attentato, che sono pronti ad indossare i corpetti esplosivi, che l’attentato causerà certamente molti morti) l’urgenza di fermarli con ogni mezzo diviene una priorità. Ma nei piani alti nessuno vuole prendersi la responsabilità di un attacco letale e dei suoi danni collaterali.
Il colonnello chiede di decidere prima che sia troppo tardi. Il ministro inglese chiede al premier, il premier chiede l’assenso del presidente americano. La deputata inglese si oppone. I militari sono indecisi sulla stima dei danni collaterali. Gli avvocati vengono forzati ad esprimersi chiaramente. Alla fine la decisione è presa e l’azione ha luogo, con le prevedibili conseguenze. Il dilemma rimane. Qualcuno di innocente, in ogni caso, si farà male. “C’è in ballo molto più di ciò che si vede in quest’immagine” dice il colonnello Powell al suo sottoposto.

Film perfetto, che rispetta le unità aristoteliche (di tempo, di luogo e di azione) come nelle migliori tragedie. L’unità di luogo, dati i tempi moderni, avviene nonostante la distanza grazie all’occhio del drone che dà una rappresentazione perfetta del terreno; agli interni provvede un insetto telecomandato manovrato da un agente sul posto. I tempi dell’azione corrispondono alla narrazione: tutto avviene nel giro dell’ora e mezza di durata del film. L’azione è pura e concentrata, senza sbavature collaterali, senza psicologismi.

Vedere Good kill di Andrew Niccol per cogliere la differenza: qui i morti abbondano, le tragedie sono immense, il cinismo è dichiarato, l’esaurimento del pilota di droni e la ripugnanza per il suo lavoro sono palesi, ma la narrazione è noiosa e sfilacciata, alla fin fine non c’importa veramente.
Qui è in gioco la vita di una bambina ed il dilemma morale si impone senza retorica e senza tesi precostituite ben prima e ad onta del risultato finale. Non c’è bisogno del sangue per percepire il dramma.

Uscite dalla sala senza sapere se è stato fatto bene o male, se è giusto o sbagliato, e cosa avreste fatto voi in quella situazione. Non c’è caciara, non c’è demagogia da quattro soldi, e si che sarebbe facile. Ma ciascuno ha motivazioni valide per fare quello che fa, anche i politici, la cui ambizione è, giustamente, di conservare la poltrona.

Film non facile da affrontare, soprattutto per la chiarezza dell’esposizione: niente ombre per l’occhio che dall’alto vede tutto.

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